Se l’amore è una strada in salita: «BRUCIO NEL VENTO»

DI FRANCESCO MININNI

Il successo oltre ogni previsione di «Pane e tulipani» non ha dato alla testa di Silvio Soldini. Quando sarebbe stato molto facile (e più redditizio) ritentare la carta della commedia, l’autore è tornato ai toni più drammatici che ne hanno caratterizzato tutta la carriera precedente. Anzi, di più: «Brucio nel vento», tratto da un romanzo autobiografico della scrittrice ungherese Agota Kristof, è una storia d’amore ma anche di ossessione, con un protagonista, Tobias, del quale talvolta si fatica a seguire i percorsi psicologici che dovrebbero portarlo a coronare un sogno apparentemente impossibile.

L’oggetto del suo desiderio è Line, un personaggio di sua invenzione che un giorno o l’altro si presenterà e si farà riconoscere. Nel frattempo, la vita di Tobias è quella di un operaio immigrato (dall’Ungheria in Svizzera) fatta di abitudini quotidiane senza sussulti né acuti. Tobias sa soltanto di essere fuggito dal paese natale dopo aver ucciso (così crede lui) il padre naturale, un maestro di scuola amante di sua madre. Quando rivede Caroline, figlia del maestro e sua compagna di scuola, capisce che Line è proprio lei. Poco importa se è sposata e ha un figlio…

A ben guardare, «Pane e tulipani» e «Brucio nel vento», toni del racconto a parte, non sono così lontani come sembra. In entrambi i casi Soldini racconta la storia di un sognatore che sopravvive in attesa di poter vivere. È evidente che il suo nuovo film ha peculiarità completamente diverse: è scuro e spoglio quanto l’altro era colorato e scenograficamente ricco, non cerca di attirare il pubblico con espedienti spettacolari, non vuole essere né carino né accattivante, si sofferma su un protagonista attonito e caparbio allungando fino all’inverosimile i ritmi del racconto. Soprattutto, non è una storia italiana ed è ispirato (prima volta per Soldini) a un’opera letteraria che è stata modificata soltanto nel finale. È talmente difficile identificarsi in Tobias e nelle sue ossessioni, che si finisce per avere l’impressione che quanto accade nel film non stia realmente accadendo, ma possa essere addirittura la proiezione di una mente non equilibrata. Senza nulla togliere al lavoro fotografico, musicale e psicologico che lo contraddistingue, «Brucio nel vento» non riesce a convincerci fino in fondo e sicuramente resta alle spalle di «Luce dei miei occhi» di Giuseppe Piccioni, con il quale lo apparentano alcune analogie comportamentali dei protagonisti maschili. Ivan Franek, in un ruolo che sarebbe stato perfetto per Fabrizio Bentivoglio, affronta con bravura un personaggio tutt’altro che facile e Barbara Lukesova non gli è da meno. Ma «Brucio nel vento» ci resta distante: come una storia vera accaduta in un altro mondo.

BRUCIO NEL VENTO di S. Soldini. Con I. Franek, B. Lukesova, C. Gotz.

Il sito ufficiale del film