Santo, non santo: è questo il problema? «L’ORA DI RELIGIONE»

DI FRANCESCO MININNIData la recente fioritura di santi, più o meno graditi alle masse (Pio IX e Padre Pio, tanto per fare due nomi), sarebbe stato strano che l’eterno «ragazzo terribile» Marco Bellocchio non avesse avuto qualcosa da dire. «L’ora di religione» comincia anche bene, con l’attonito stupore di Ernesto Picciafuoco, ateo convinto, alla notizia che è in corso il processo di canonizzazione di sua madre, uccisa dal fratello Egidio. Ernesto ha una moglie e un figlio, ma è in corso di separazione. L’incontro con l’insegnante di religione del figlio, Diana, lo colpisce al punto da desiderare che la conoscenza abbia un seguito. E poco importa che lei non sia l’insegnante di religione e che nessun’altro a parte lui la veda: mentre le gerarchie ecclesiastiche e la famiglia Picciafuoco al completo premono perché ogni pezzo del mosaico vada al posto giusto (indipendentemente dal credere o non credere alla santità della defunta), Ernesto continua a pensarla a modo suo e, soprattutto, a non volersi «convertire». Il giorno dell’udienza papale lui non ci sarà. E neanche suo figlio, che Ernesto accompagnerà a scuola.

E allora? Mentre tutti si concentrano sulla doppia bestemmia gridata da Egidio durante l’incontro con la famiglia, ci sembra che il vero punto del film sfugga. Anche quando è spinto da un’idea un po’ diversa dal solito, Bellocchio non può fare a meno di scagliare le proprie invettive contro ogni genere di istituzioni, con particolare predilezione per la famiglia e per la Chiesa. Questo lo porta ad accentuare i toni del racconto finendo col dare l’impressione di riscaldare sempre la solita minestra. Se infatti il personaggio di Ernesto, anche in virtù di un’interpretazione molto misurata di Sergio Castellitto, è in grado di far pensare e magari di far ritrovare in ognuno di noi qualcosa di sé, non si potrà fare a meno di convenire sul fatto che la famiglia Picciafuoco (una zia cinica, un fratello sacerdote, un ateo convertito, un grigio professionista e un disperato rinchiuso in clinica) sia la stessa di sempre, da «I pugni in tasca» a «La Cina è vicina», da «Salto nel vuoto» a «Il sogno della farfalla».

E che dire della Chiesa? Come la magistratura, l’esercito, la polizia e la famiglia, è un’istituzione che sopravvive a se stessa, fatta di formalismi, di astuzie, di apparenza e, sotto sotto, di intolleranza e costrizione. A noi sembra che la ripetizione di questo ritornello non deponga a favore dell’apertura mentale di Bellocchio, tanto capace di folgoranti intuizioni psicologiche (il personaggio vero/non vero di Diana) quanto tristemente ancorato a un laicismo che rende un dialogo quanto mai difficile. È questo, non la santità, il problema da risolvere.

L’ORA DI RELIGIONE di Marco Bellocchio. Con Sergio Castellitto, Jacqueline Lustig, Piera Degli Esposti. ITALIA 2002; Drammatico; Colore