Salvo

Nonostante la garanzia della produzione Cristaldi, un film di nicchia resta per distributori e gestori un oggetto sconosciuto. E la cosa strana è che, in fondo, «Salvo» non è un film di nicchia al 100%: parla di mafia, di un killer che si lascia prendere da scrupoli morali, di un faccia a faccia con il boss e con la banda che potrebbe anche essere avvenuto nel Far West. È, insomma, un mix di generi che indica nei due autori il virus della cinefilia che li porta a più riprese a citare e rendere omaggio. Ma è anche, alla base, un racconto morale che tende a lasciare fuori campo ogni episodio di violenza che potrebbe apparentarlo più strettamente a una tradizionale storia di mafia per concentrarsi sul difficile percorso di due personaggi, Salvo e Rita (bravissimi Saleh Bakri e Sara Serraiocco), che per motivi diversi stanno sperimentando l’uscita dal buio.

Salvo Mancuso è un killer della mafia di volta in volta autista, guardaspalle ed esecutore agli ordini di un boss locale. Quando si introduce in casa di una vittima potenziale, però, si trova di fronte la sorella Rita, non vedente. Lei conta i soldi, sbriga le faccende di casa, ascolta continuamente «Arriverà» dei Modà e, pur non vedendolo, finisce per percepire la presenza di qualcuno. La conclusione logica (la logica della mafia) porterebbe a ipotizzare un doppio omicidio. E invece Salvo, dopo aver ucciso l’uomo, prende Rita e la porta in un posto che crede sicuro. Tutto questo è arricchito dal fatto che la donna, a causa del trauma subito, sta progressivamente tornando a vedere.

A questo punto dovremmo sgombrare il campo da citazioni e omaggi, i più consistenti dei quali fanno riferimento a «Frank Costello faccia d’angelo» di Jean-Pierre Melville: un protagonista silenzioso, ambienti scarni ed essenziali, un metodo basato su regole ferree, molti suoni e pochissime parole. Il punto è che risulta molto difficile sgombrare il campo da qualcosa che non è occasionale, ma diventa una vera e propria cifra stilistica con cui gli autori amano confrontarsi e, per quanto possibile, farla propria. Se c’è un limite, in «Salvo», sta proprio nell’impossibilità di liberarsi fino in fondo del modello prescelto, all’interno del quale si affacciano qua e là altre componenti (il western, come dicevamo) delle quali però non è difficile disinteressarsi. Alla fine si ha l’impressione che a Grassadonia e Piazza possa aver interessato più il modo di raccontare che il racconto stesso, il che porta a qualche soluzione cinematograficamente giustificabile ma che da un punto di vista di logica elementare lascia un po’ a desiderare.

Quel che appare chiaro è che gli autori non hanno lavorato sull’intrigo, che resta quasi in secondo piano, ma sui personaggi, sugli sguardi, sugli ambienti, sui suoni e soprattutto sulle luci. Facendosi forti della bellissima fotografia di Daniele Ciprì, Grassadonia e Piazza hanno raccontato l’incontro tra Salvo e Rita come una faticosa e complessa uscita dal buio verso una luce possibile. Quel «possibile» sta a significare che, sfuggendo alla trappola di un lieto fine che sarebbe stato deleterio, gli autori hanno raccontato una doppia uscita dal buio (morale quello di Salvo, materiale quello di Rita) che non corrisponde a una salvezza congiunta. Se Rita riacquista la vista e può prendere la via della fuga, Salvo è ferito mortalmente e resta lì a guardare una striscia di mare dietro i tetti delle case. In questo senso «Salvo» torna ad essere un film altamente realistico al di là di ogni drammatizzazione, pur tenendo conto del fatto che non era infrequente nel noir francese la morte del protagonista. Ad ogni buon conto, Grassadonia e Piazza hanno fatto esattamente il film che volevano e per questo vanno lodati al di là degli incidenti di percorso. Come si dice: non sbaglia solo chi non fa.SALVO di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza. Con Saleh Bakri, Sara Serraiocco, Luigi Lo Cascio, Giuditta Perriera, Mario Pupella. ITALIA/FRANCIA 2012; Drammatico; Colore