Salvati per voi. I migliori del 2005

Di qualunque cosa si parli, è sempre brutto dire «Non c’è niente da salvare». È un po’ voler chiudere le porte a quell’alimento indispensabile del nostro essere che si chiama speranza. È per questo che, alla fine di ogni anno, ci rimbocchiamo le maniche e tentiamo un’impresa che, a dire la verità, non si è mai rivelata impossibile. Da qui a dire che i film prescelti rimarranno nella storia, ce ne corre. Ma l’impegno, la coerenza, l’originalità, il buon gusto, l’intelligenza, lo spirito, la poesia meritano pur sempre un premio.

Il premio per la coerenza va ai fratelli Luc e Jean-Pierre Dardenne che, con L’enfant, ci hanno ricordato per la quarta volta che non esistono situazioni senza uscita. Il premio per l’originalità va a Gabriele Salvatores che, con Quo vadis, baby?, ha costruito un film ruvido sul filo della memoria nel difficile tentativo di ricucire le ferite del passato. Il premio per la capacità di rinnovamento va a George Romero che, con La terra dei morti viventi, ci ha finalmente fatto capire chi sono gli zombi e quale potrebbe essere la loro destinazione. Il premio per la poesia va a Luigi Falorni e Byambasuren Davaa che, con La storia del cammello che piange, hanno raccontato la nascita della vita, il rapporto dell’uomo con la natura e il giusto modo per mantenere gli equilibri.

Il premio per la sincerità va a Roberto Benigni che, con La tigre e la neve, anche a rischio di sbagliare film, ha voluto mettere in campo tutto l’amore che c’è. Il premio per la fantasia va, ex-aequo, ad Hayao Miyazaki per Il castello errante di Howl e alla coppia Tim Burton/Mike Johnson per La sposa cadavere: due mirabili esempi, nella gran differenza di animazione, di immaginazione pura e di amore per un genere un po’ in decadenza.

Il premio per il coraggio va a Nicole Kassell che, con The Woodsman, affronta il delicato tema della pedofilia con la precisa intenzione di non allinearsi con i sostenitori di una nuova caccia alle streghe. Il premio per la coscienza va a Francesco Munzi che, con Saimir, affronta il dramma degli extracomunitari inquadrandolo in un difficile percorso di crescita e scelta di vita.

Il premio per l’introspezione va a Jim Jarmusch che, con Broken Flowers, riesce a cogliere tutte le sfumature di un’esistenza allo sbando alla ricerca di un improbabile riscatto. Il premio per la fiducia va a Paul Haggis che, con Crash/Contatto fisico, va in giro per le strade di Los Angeles alla ricerca di storie di ordinaria violenza e di ragioni di straordinaria speranza.

Il premio per la maturità va a Pupi Avati che, con La seconda notte di nozze, difende la bontà dei poveri di spirito da tutte le cattiverie del mondo. E infine, il premio per la speranza va a noi e a tutti quelli che credono che dodici film in un anno bastino a giustificare una passione.Francesco Mininni