Salvati per voi, 2016
Vorremmo cominciare con Marco Bellocchio, un autore che ci ha sempre suscitato più dubbi che certezze. Sarà il testo di Massimo Gramellini, modificato ma non troppo; sarà un ritrovato equilibrio dopo anni di polemiche; sarà una sorta di voglia di stupire chi lo pensava ancorato a certe posizioni. Comunque Fai bei sogni parla di famiglia con accenti anche durissimi, ma senza l’ansia di distruzione di tanti film del passato.
Jared Bush, Byron Howard e Rich Moore, con Zootropolis, hanno firmato un film d’animazione brillante e con qualche significato interessante sull’integrazione razziale.
1981: indagine a New York di J.C. Chandor propone uno spaccato inquietante sul mondo del lavoro e su un cittadino onesto che nasconde troppi angoli oscuri.
Il cittadino illustre di Mariano Cohn e Gaston Duprat indaga sul successo, sulle radici, sul ritorno a casa e su un mondo che evoca continuamente Kafka con risultati di spessore.
La sorpresa dell’anno: La stoffa dei sogni di Gianfranco Cabiddu, omaggio a Shakespeare, a Eduardo, al rapporto tra vita e teatro e alla forza rigenerante dell’arte.
Remember di Atom Egoyan parte da un’idea fulminante: un ebreo malato di alzheimer a caccia del nazista che gli ha sterminato la famiglia. Poi diventa un thriller di alta classe.
Ancora Clint Eastwood che, con Sully, spiazza quanti si aspettavano un elogio dell’individualismo per sottolineare il lavoro di squadra alla base del cosiddetto «miracolo sull’Hudson»: un film emozionante, coinvolgente, con un grande Tom Hanks.
Un’altra sorpresa: mettendo mano al remake in computer grafica de Il libro della Giungla, Jon Favreau ha optato per una narrazione dark che prende le distanze dal classico di animazione e vive di vita propria quasi senza canzoni.
Con Paterson Jim Jarmusch torna al minimalismo che ne ha contraddistinto i migliori risultati e, pur non sfuggendo una certa maniera, parla di poesia, di vita quotidiana, di lavoro e di sogni senza mai scadere nella banalità.
Pablo Larrain, con Neruda, racconta un pezzo della vita del grande poeta cileno usando uno stile quasi surreale che fa emergere su tutto il rapporto tra l’artista e il potere.
Jean-François Laguionie ha cercato con Le stagioni di Louise di raccontare con un’animazione semplicissima la storia di sua madre, del suo rapporto con il mare, con la vecchiaia e con un cane. Straordinariamente poetico.
Uno dei film più belli dell’anno: Il figlio di Saul di László Nemes, che ha scelto di raccontare Auschwitz attraverso la figura di un recluso appartenente ai sonderkommando. Con la macchina da presa ossessivamente addosso a lui, gli orrori della guerra restano fuori campo. E il figlio, che in realtà non lo è, diventa una strada di rinascita, di dignità e di orgoglio.
Il grande gigante gentile di Steven Spielberg, uno dei film di minor successo dell’autore, sfrutta la storia per bambini di Roald Dahl per comporre un’appassionata dichiarazione d’amore al cinema dal muto ad oggi. Più per cinefili che per bambini.
Christian Vincent, ne La corte, racconta la storia di un giudice apparentemente inflessibile che le circostanze della vita hanno reso anaffettivo. Ma ci sarà tempo per risvegliarsi.
Paolo Virzì, ne La pazza gioia, ha raccontato con affetto e passione la storia di due donne difficili. Quasi un film travolgente.
Zaza Urushadze, georgiano, racconta in Tangerines l’assurdità della guerra e la fermezza di un estone esiliato deciso a ricomporre i contrasti. Un grande film. Come Land of Mine di Martin Zandvliet, dove si instaura un rapporto di solidarietà tra un ufficiale danese e i giovani tedeschi mandati a sminare le coste. E come Al di là delle montagne di Jia Zhangke: una profonda riflessione sulla deriva capitalista della Cina dal 1999 al 2025, con grande forza simbolica e tre diversi formati dell’immagine.
Il cinema talvolta sonnecchia, ma non va mai in letargo. Più o meno come l’uomo. Anche se ammetterlo costa un surplus di speranza che potrebbe non essere inesauribile. Buon anno a tutti.