«SAIMIR»

DI FRANCESCO MININNICi vuol coraggio per cambiare le cose. E questo non significa che un atto di coraggio cambierà la situazione di fuori: ma di certo cambierà quella di dentro, facendo sì che una persona riacquisti la propria dignità e si conquisti il diritto di stare al mondo. È quanto ci racconta Francesco Munzi nella sua opera seconda, «Saimir».

Saimir è un sedicenne albanese che vive con il padre in un paese della costa laziale. Il lavoro non abbonda e il padre, col suo furgone, trasporta connazionali venuti dal mare, fa qualche favore a un boss locale e, comunque, fa parte del meccanismo. A Saimir questa vita non piace, né gli basta la spiegazione paterna che è comunque il loro destino. Non gli piace che il padre si voglia risposare con un’italiana, né che il suo ruolo sia comunque quello dell’extracomunitario da guardare con sospetto.

Da una parte il rifiuto di Michela, che non accetta un suo regalo, dall’altra l’inizio di un’attività di furti alle dipendenze di un boss, infine l’arrivo di una ragazza che crede di andare a Milano per amore e invece si ritrova sulla via della prostituzione, fanno scattare in Saimir un meccanismo di autodifesa che lo porterà a un piccolo (in apparenza) ma enorme (in realtà) atto di coraggio. Più semplicemente, il ragazzo dovrà scegliere se adeguarsi al mondo che lo circonda e che lo sta assorbendo, oppure se dare un segnale di voler scegliere un’altra strada.

Girato benissimo, senza compromessi spettacolari e con stile quasi documentario, «Saimir» riporta alla mente il primo film dei fratelli Dardenne, «La promesse». Anche lì un adolescente si ribellava al padre e al suo commercio di extracomunitari quando capiva che la dignità umana non ha prezzo. Munzi, in un certo senso, allarga il tiro: i protagonisti de “La promesse” erano belgi, quelli di «Saimir», invece, sono tutti albanesi. Lavorando dall’interno, quindi, l’autore ci fa capire come le brave persone e quelle capaci di solidarietà e coraggio non debbano per forza appartenere a un’etnia piuttosto che a un’altra. Anzi, la ribellione di Saimir assume un valore ancora maggiore: un po’ per i rischi cui il ragazzo andrà incontro, un po’ perché, essendo nato e cresciuto in quell’ordine di idee, il suo cambiamento di rotta è tutto fuorché prevedibile.

Interpretato benissimo da Mishel Manoku, che porta in Saimir tutta la freschezza e la verità che soltanto un non professionista ha a disposizione, e da Xhevdet Feri (il padre), che viene invece da una consolidata esperienza teatrale, «Saimir» si raccomanda per una merce oggi sempre più rara: una forma funzionale alla materia narrata e un contenuto, semplicemente, educativo. Niente che debba scoraggiare il pubblico: forma funzionale e contenuto educativo sono tipici, ad esempio, di Dante Alighieri, Alessandro Manzoni e Luigi Pirandello.

SAIMIR di Francesco Munzi. Con Mishel Manoku, Xhevdet Feri. ITALIA 2004; Drammatico; Colore