«RED EYE»

DI FRANCESCO MININNIIl percorso di Wes Craven non parte da altri mondi, ma dal reale. La violenza-shock de «L’ultima casa a sinistra» non era altro che una allucinata radiografia di una società malata. Poi sono venuti i mostri dell’inconscio: ma Freddy Krueger, il re degli incubi, non è forse qualcuno che di notte potremmo «realmente» sognare? E i teschi ghignanti di «Scream» non sono forse l’immagine amplificata di un disagio vero e attuale? Ecco perché, dopo aver scherzato con i lupi mannari in «Cursed» senza lasciare il segno, Craven ha deciso di tornare a un reale attuale e inequivocabile: «Red Eye» è un thriller che, dietro il normale avvicendarsi degli eventi, ci racconta qualcosa che va oltre i limiti di un genere molto sfruttato ma sempre in grado di catturare la nostra attenzione.

Ci racconta come oggi, in America, il concetto di privacy stia diventando sempre più labile, al punto che nessuno può dire di essere realmente padrone del proprio destino. Da una parte esiste una ramificata organizzazione criminale che può conoscere tutto di noi e servirsene per i suoi scopi. Dall’altra una ramificata organizzazione governativa che può conoscere tutto di noi e servirsene per i suoi scopi. Si dà, naturalmente, che la prima sappia tutto di tutti, mentre la seconda sa tutto di tutti fuorché degli appartenenti alla prima.

Se ne rende conto Lisa quando, durante il viaggio aereo che la sta portando a Miami, è avvicinata da un possibile corteggiatore che in realtà è un terrorista. Se lei non farà ciò che le è richiesto, suo padre morirà. Il punto è che Jackson, il terrorista, è realmente convinto di avere tutte le carte in mano. Dovrà ricredersi.

La buona idea di Wes Craven, aiutato da un montaggio adrenalinico di Stuart Levy e Patrick Lussier, è quella di condurre le danze a bordo di un aereo di linea, dove gli spazi ristretti e l’impossibilità di uscire rendono trasparente la situazione psicologica della protagonista e, in seconda battuta, di chi la minaccia. È evidente che nella parte finale, quando si devono tirare le somme, saltano agli occhi alcune incongruenze logiche legate allo spirito d’iniziativa della ragazza e alla testardaggine del terrorista. Ma nel frattempo Craven ha potuto costruire un meccanismo di suspense che non perde un colpo e che, anche in virtù di un eccellente potere di sintesi, ci costringe all’attenzione lasciando poco spazio per riflettere su eventuali errori di percorso. Come sua abitudine, Craven cita se stesso, da «Vampiro a Brooklyn» a «Scream». Ma cita anche Hitchcock: il fatto che qualcuno debba morire, che un familiare di una rotella dell’ingranaggio sia minacciato di morte e che una donna debba prendere l’iniziativa per sventare il tutto è un’evidente eredità de «L’uomo che sapeva troppo».

Rachel McAdams e Cillian Murphy svolgono con una certa bravura il non facile compito di trovarsi quasi sempre in scena. E Wes Craven, che è ben consapevole che l’11 settembre ha cambiato qualcosa, fa del suo meglio per farci capire che, se pure è rimasto qualche buono, non si sa più chi siano i cattivi.

RED EYE (Id.) di Wes Craven. Con Rachel McAdams, Cillian Murphy, Brian Cox.