REC
DI FRANCESCO MININNI
Diciamo la verità: Jaume Balaguerò, con i suoi horror estremizzati, dispensatori di brividi e banalità, non ci ha mai convinto. «Darkness», «Nameless» e soprattutto «Fragile» hanno trovato estimatori soprattutto negli irriducibili difensori del genere, ma non mostravano uno spessore che potesse indurre il sospetto di un rinnovamento. «REC», invece, diretto a quattro mani con Paco Plaza, ci permette di andare oltre il semplice dato della paura e, con pregi e difetti, di fare un discorso articolato su autori e mestieranti. Si dirà (ed è vero) che l’immagine sporca, l’uso esclusivo della camera a mano, l’idea del finto reportage non sono novità. Lo testimoniano sia «The Blair Witch Project» che «Cloverfield». Ma «REC» (che vuol dire Record, ovverosia Registrare) li applica a un singolare incontro tra cinema horror e critica di costume che, comunque, non lascia indifferenti.
Si immagina che Angela, reporter televisiva, e il suo cameraman Pablo seguano i pompieri per un servizio in diretta. Mal per loro che lo stabile da cui è arrivata la chiamata sia infestato da qualcosa di (normalmente) mostruoso. Una donna anziana aggredisce un poliziotto a morsi. Chi è morso (anche se morto) subisce un contagio e attacca a sua volta. Fuori, la polizia isola il palazzo impedendo a chi è dentro di uscire. E alla fine non si salverà nessuno. Neanche il cameraman che, filmando incessantemente, pensava forse di essere immune (dal contagio? da tutto?).
E’ chiaro che Balaguerò e Plaza puntano su due fattori: da una parte il disappunto del pubblico nel trovarsi di fronte a un film quasi sperimentale, molto lontano dall’idea tradizionale di riprese e montaggio, dall’altra il fatto che quello stesso pubblico, comunque, non potrà fare a meno di vedere quale possa essere la conclusione di tale follia. A questo si aggiunge l’evidente intenzione di dare una valutazione sulla cosiddetta «real TV», ma anche sulle nuove frontiere della comunicazione che prevedono che lo spettatore debba sapere tutto (tutto quello che ) sparato al maggior volume possibile. E qui finisce l’intento critico del film.
Sul versante puramente horror, invece, c’è molto da dire. E’ indiscutibile che «REC» sia un film inquietante, a tratti disturbante, sicuramente pessimista e capace di inserire il dato allucinatorio in un contesto rigorosamente quotidiano. È anche vero, però, che l’idea del condominio in quarantena dove chiunque può essere a rischio di contagio è molto, troppo simile a quella messa in scena da George Romero ne «La città verrà distrutta all’alba». Ed è soprattutto pretestuosa e inutile la scoperta dei ritagli di giornale nei quali si parla della bambina indemoniata «sottovalutata» dal Vaticano e a quanto pare sopravvissuta ad anni di isolamento. Qui «REC» ripiomba nel ghetto degli horror serializzati che possono garantire soltanto brividi a buon mercato.
C’è insomma un doppio livello narrativo nel film: da una parte un tentativo di rinnovamento con uno stile da film-inchiesta che per una volta sembra allontanare la concorrenza della realtà vera, dall’altra l’incapacità di rinnovarsi veramente facendo riferimento a una storia piena di riferimenti a un repertorio fin troppo conosciuto. In sostanza, Balaguerò e Plaza sembrano aver paura del cambiamento e fanno il possibile per non abbandonare il vecchio tran tran degli zombi, di quelli affetti da rabbia e di quelli che, anche se nessuno sa esattamente cos’abbiano, continuano a popolare i nostri incubi cinematografici.
REC (Id.) di Jaume Balaguerò e Paco Plaza. Con Manuela Velasco, Vicente Gil, Pablo Rosso, Ferran Terraza, Claudia Font. SPAGNA 2007; Horror; Colore