Ready Player One
È un dato di fatto che quando scende in campo Steven Spielberg, indipendentemente dall’argomento trattato, c’è sempre spazio per il gioco. In Spielberg convivono senza problemi l’uomo d’esperienza che è arrivato a 71 anni finendo per diventare un autentico simbolo del cinema americano polverizzando record d’incassi e non omettendo di passare dall’intrattenimento puro alla riflessione storica, dall’aspetto ludico a quello riflessivo, e un eterno bambino ancora capace di entusiasmarsi di fronte alle innovazioni della tecnica ma anche all’intero universo di cultura popolare che ha trovato già enorme e che ha contribuito a rendere ancora più grande. Quando in Ready Player One, tratto dal romanzo di Ernest Cline, il protagonista Wade Watts incontra il creatore di Oasis, James Halliday, vede accanto a lui un bambino e chiede chi sia. «Sono io» risponde Halliday. «Mi piace tenermi accanto il bambino che ero». Quindi Halliday e Spielberg sono più o meno la stessa cosa: nello stesso tempo un uomo con i capelli bianchi e un bambino che gioca con la Play Station. Di conseguenza, in un certo senso, la strada del film è già indicata chiaramente: l’immutata voglia di giocare che deve fare i conti con una realtà troppo brutta e con l’obbligo di fare qualcosa per cambiare le cose.
La scommessa è di quelle difficili. Pur continuando per oltre due ore un gioco ininterrotto, Spielberg deve mostrarne il lato oscuro, prendere le distanze da una pericolosa assuefazione e usare tutta la tecnica di cui dispone per meravigliare e per far riflettere. Sinceramente, non sapremmo dire se a prevalere sia lo spirito del gioco o l’ansia di un cambiamento. Quando un autore sente il bisogno di ribadire qualcosa a parole («Niente è più reale della realtà») rischiando la retorica, ci si chiede se non pensasse che le immagini bastassero a chiarirlo. Ma di certo Ready Player One è un esperienza ad alta velocità capace di soddisfare i cinefili più accaniti con una serie interminabile di citazioni che, in virtù dell’obiettivo da raggiungere, non rimangono mai fini a se stesse ma rappresentano una mappa ragionata dell’immaginario collettivo da cui Spielberg viene, che ha contribuito ad allargare e che proprio non intende mollare. E noi siamo con lui.
Wade Watts, nell’anno 2045, come chiunque a Columbus, Ohio, e nel resto del mondo deve fare i conti con una realtà invivibile e passa tutto il suo tempo su Oasis, un mondo virtuale dove tutti possono vivere la vita che vogliono scegliendo un avatar e dando via libera alle proprie fantasie. Quando però Nolan Sorrento intende giocare sporco per aggiudicarsi le tre chiavi che gli consentirebbero di acquisire l’eredità sterminata di Halliday, Wade (anzi, Parzival) organizza una squadra di guastatori e lo sfida sul terreno del gioco.
A parte eventuali ovvietà (una suddivisione blanda tra nerd e yuppie che avrebbe potuto essere più curata), a stupire è la capacità di Spielberg di organizzare una storia della cultura pop (specificamente degli anni Settanta e Ottanta, ma con qualche prima e dopo) che procede per citazioni ora fulminee ora realmente interattive. Scorrono sotto i nostri occhi Batman, Freddy Krueger, l’A-Team, le tartarughe Ninja, il camion di Duel, Kong, Godzilla, Gundam, la Plymouth Fury di Christine, la DeLorean di Ritorno al futuro, il gigante di ferro, la cupola invisibile di The Dome, Gandalf, la realtà parallela di Matrix, il cubo di Rubik che diventa di Zemeckis, Terminator e tanti altri che lo spazio a disposizione non basterebbe ad elencare. E questo non è soltanto un gioco: è un percorso che ha comunque segnato la storia dell’umanità e che l’autore padroneggia come pochi sarebbero in grado di fare. Non è un caso se la citazione più emozionante, prolungata e ragionata (soprattutto essenziale per la prosecuzione del gioco) riguarda Stanley Kubrick: l’ingresso di Parzival e dei suoi nell’Overlook Hotel di Shining inchioda alla poltrona. E Spielberg sa distinguere tra allievi e maestri.
READY PLAYER ONE (Id.) di Steven Spielberg. Con Tye Sheridan, Olivia Cooke, Mark Rylance, Simon Pegg, Ben Mendelsohn. USA 2018; Fantastico; Colore.