QUESTIONE DI CUORE

DI FRANCESCO MININNI

Il minimalismo è la forza trainante di Francesca Archibugi, dal suo esordio con «Mignon è partita» a «Il grande cocomero» al più recente «Lezioni di volo». È una forza trainante, ma può essere anche un limite nel momento in cui dà l’impressione di non evolvere, di continuare a girare su se stesso senza meta. Soprattutto quando, come in «Questione di cuore», si trova a dover fare i conti con una forte componente intellettuale che ne frena libertà e spontaneità. Tratto da un romanzo dello sceneggiatore Umberto Contarello, il film rimane a mezza via tra la ricerca umana e il gioco (sempre pericoloso) del cinema nel cinema, finendo per non riuscire a coinvolgere emotivamente ma neanche a stimolare intellettualmente. Così, alla fine, non sappiamo più se abbiamo assistito alla vicenda di due poveracci ammalati di cuore o al cinico lavoro di uno sceneggiatore che approfitta delle circostanze per ritrovare la vena perduta.

Lo sceneggiatore è Alberto. Il carrozziere è Angelo. Si incontrano in ospedale, vicini di letto, entrambi colpiti da infarto. Socializzano. In realtà è soprattutto Alberto, l’intellettuale triste e perennemente in crisi, a trovare in Angelo e nella sua famiglia un’alternativa «proletaria» a quel mondo che ormai gli va stretto. Così, di punto in bianco, Alberto si trasferisce in casa di Angelo entrando a far parte, in un modo un po’ originale, del suo tran tran familiare. E intanto riprende a scrivere. Forse proprio la storia che sta vivendo.

Si capisce che, da questo punto in avanti, non è detto che quel che vediamo sia ciò che sta accadendo nella realtà o ciò che Alberto decide che accada nella sua sceneggiatura. E il dubbio, che in «Giulia non esce la sera» era appena adombrato e non vincolava il racconto, qui diventa quasi amletico, un po’ come dire «essere o fingere». Ed è un dubbio che non giova all’andamento del film, che sembra trasformarsi da studio di caratteri e di classi sociali in esercitazione di virtuosismo intellettuale (quindi freddo e distaccato). Si arriva in fondo con una sensazione di dubbio che non depone a favore di Francesca Archibugi, sicuramente capace di disegnare personaggi credibili qualunque sia la loro estrazione sociale, ma non di reggere il difficile equilibrio tra realtà, quasi realtà e finzione.

Nel gioco si lasciano coinvolgere attori diversi. Kim Rossi Stuart, per rendere credibile la figura del carrozziere popolano, compie grossi sforzi che dovrebbero allontanarlo dalla tipologia di personaggi fin qui interpretati. Antonio Albanese rischia a più riprese di ricadere nel macchiettismo dei suoi personaggi da cabaret. Ad uscirne vittoriosa è sicuramente Micaela Ramazzotti, molto più a suo agio nei panni della moglie del carrozziere, semplice e sofferta. Alla base di tutto, comunque, c’è un’ambiguità di ruoli che probabilmente discende direttamente dal romanzo. Il fatto che Contarello sia uno sceneggiatore, infatti, depone a favore dell’autobiografia sia nel senso della vita vissuta che di quella artistica. Se ne dovrebbe dedurre, pertanto, che «Questione di cuore» non sia il ritorno alla vita (per quanto possibile) di due persone molto diverse tra loro, ma piuttosto una cinica rivisitazione del mestiere di scrittore. Così, tirate le somme, a rimanere più impressa è la fulminea apparizione di Carlo Verdone (insieme a Virzì, Sorrentino, Luchetti e Stefania Sandrelli) che, nel ruolo di se stesso, mette in campo ipocondria e medicina «fai da te» dando ad Alberto/Albanese una quantità di consigli non richiesti. Il che porta l’interlocutore a concludere: «Va bene. Vuol dire che la prossima volta che avrò un infarto, invece di andare in ospedale verrò a casa tua».

QUESTIONE DI CUOREdi Francesca Archibugi.Con Antonio Albanese, Kim Rossi Stuart, Micaela Ramazzotti, Paolo Villaggio. ITALIA 2009;Commedia; Colore