Quello che non so di lei

L’età di un artista non è quasi mai un dato anagrafico e il fatto che Roman Polanski vada per gli 85 non dovrebbe di per sé rappresentare un ostacolo. Se però parliamo di piglio narrativo, freschezza inventiva e novità espressive, bisogna dire che Polanski invecchia. Quello che non so di lei, tratto da un romanzo di Delphine De Vigan e sceneggiato con Olivier Assayas, non rinverdisce i fasti delle sue ossessioni e mostra una tendenza al deja vu che non è compensata dallo stile della messa in scena.

Da aggiungere che il presunto mistero legato all’ossessiva presenza di Elle (in italiano Lei) nella vita di Delphine scopre le carte troppo presto mostrandosi come rinnovata rappresentazione del doppio femminile senza proporre novità che ne giustifichino la scelta. E va a finire che, una volta scoperto l’arcano (che arcano non è), lo spettatore non può che adagiarsi su una suspense di routine in attesa di prevedibili sviluppi.

Le dinamiche che abitualmente muovono il cinema di Polanski, siano esse il conflitto, l’assurdo, il mistero, l’ossessione, si mostrano improvvisamente incapaci di rinnovarsi. E il problema vero non è il riferimento ad altri film, da Eva contro Eva a Misery non deve morire, da Notorious a L’uomo nell’ombra. È piuttosto l’incapacità dell’autore di trasformarli in qualcosa di proprio, limitandosi alla citazione non personalizzata. Né giova, in questo senso, la collaborazione con Assayas, che a sua volta coglie l’occasione per riproporre elementi portanti di uno dei suoi film più riusciti, Sils Maria. Così Quello che non so di lei diventa una galleria di elementi già ben noti difficile da inquadrare a pieno titolo nell’immaginario di Polanski.

Delphine è una scrittrice di successo che, appena terminata la promozione del suo ultimo libro, si mette subito al lavoro per una nuova opera. È qui che compare Elle. Prima per chiedere una dedica, poi per scoprirsi quasi vicina di casa, quindi per chiedere ospitalità a causa di uno sfratto imprevisto. E Delphine, che sembra trarre giovamento dalla sua compagnia, accetta. Ovviamente la convivenza farà venire alla luce aspetti sinistri del carattere di Elle. Prima consigliera discreta, poi imperiosa, poi invadente, infine quasi carceriera dopo che Delphine, a causa di una caduta, ne è uscita con una gamba ingessata. Poi, come al risveglio da un incubo, Delphine avrà un nuovo libro già pronto cui non potrà che dare il titolo Tratto da una storia vera.

Che il film di Polanski sia la storia di una sorta di sdoppiamento della personalità non è difficile indovinarlo a partire dal fatto che Elle non è vista da altri che Delphine. Elle sarebbe pertanto una sorta di nemesi della personalità, una specie di trattamento choc per far uscire Delphine dalla sua stasi creativa. Se questo coinvolgesse anche altri personaggi si potrebbe ipotizzare un andamento da thriller surreale. Ma limitandosi esclusivamente al rapporto tra le due donne, causa una impasse narrativa difficile da superare.

Così, in attesa della liberazione dalla schiavitù psicologica, si ha il tempo di notare quanto Emmanuelle Seigner sia invecchiata (anche ad arte, per dare l’impressione di una donna provata e stanca) e quanto di contro Eva Green ne rappresenti il contraltare giovanile, fascinoso e naturalmente inquietante. Anche questo, però, rientra nel novero del già visto. Vorremmo proprio dire che c’è qualcosa per cui il film meriti di essere ricordato, ma ci sentiremmo come quelli che, pur di elogiare Polanski per meriti passati indiscutibili, si inventano qualcosa che alla prova dei fatti non esiste. La verità è che quando si arriva a capire (o a credere di capire, non facciamo i presuntuosi) la direzione nella quale il film stia andando, rimane tempo sufficiente per smontare tutta l’impalcatura. E fateci caso: c’è anche un po’ di spazio per la noia.

QUELLO CHE NON SO DI LEI (D’après une histoire vraie) di Roman Polanski. Con Emmanuelle Seigner, Eva Green, Vincent Perez, Dominique Pinon. F/B/POL 2017; Drammatico; Colore.