«QUANDO SEI NATO NON PUOI PIÙ NASCONDERTI»
Il tema non è quello dell’immigrazione clandestina, ma la reazione di un paese di fronte al fenomeno. Non si tratta di lavorare dal di dentro sugli immigrati (come ha fatto Francesco Munzi in «Saimir»), ma su chi li accoglie. Per fare ciò Giordana parte da uno spunto che risale addirittura a Kipling e al suo «Capitani coraggiosi»: un bambino dell’alta borghesia bresciana cade in mare da una barca a vela ed è raccolto in extremis da una barca che trasporta immigrati di varie etnie. Sandro non si fida degli scafisti, finge di non capire e risponde con una frase udita per strada da un extracomunitario (che poi scoprirà significare «Quando sei nato non puoi più nasconderti»). I due giorni in mare e quelli nel centro accoglienza gli faranno capire che la realtà non è mai una sola e che forse è arrivato il momento di fare qualcosa.
Il film di Giordana, sceneggiato con gli immancabili Petraglia e Rulli, affronta un problema che esiste, esiste adesso e necessita di soluzioni. Sulla carta, pertanto, è ideale per interessare e coinvolgere. In pratica, però, tutto appare predeterminato al punto da sottrarre verità all’insieme. A un dodicenne, figlio di un industriale del Nord, che è nato e vissuto in un determinato ambiente senza mai conoscere né fame né miseria, non bastano due o tre giorni per capire tutto e scegliere da che parte stare. E anche se così fosse, dovremmo poter disporre di un come e un perché che non siano soltanto l’incontro con gli «altri», cioè la presa d’atto della loro esistenza. In questo senso il film si complica l’esistenza con un lungo prologo descrittivo (troppo lungo) che ci mostra la vita di Sandro prima di cadere in mare: tanto più appare pilotato il suo cambiamento, a conferma del fatto che, anche con le migliori intenzioni, raccontare una storia del genere non è facile e che incombe il rischio di cadere nello schematismo ideologico.
Sembra che gli autori, facendosi forti di un giusto principio, si siano preoccupati di arrivare al traguardo (ovvero la solidarietà nonostante tutto, l’idea che tendere una mano è sempre meglio che dare uno schiaffo) senza preoccuparsi delle tappe intermedie. Che, in questo caso, avrebbero significato molto: prendere atto dell’esistenza di un problema non è la stessa cosa che capire come fare a uscirne.