Quando arriva il momento di scegliere: «GIOVANI»
Lasciamolo vivere, il cinema italiano. Diamogli fiducia, perché la merita. Sia quando ci rassicura con evoluzioni d’autore, sia quando ci fa sperare con giovani talenti. Ma soprattutto quando (ed è una tendenza abbastanza diffusa, ultimamente) ci fa passare attraverso storie molto tristi prima inducendo il sospetto del compiacimento della lacrima, poi spiazzandoci con conclusioni imprevedibilmente aperte alla speranza.
Giuseppe Piccioni, Nanni Moretti, Mimmo Calopresti, Gabriele Muccino hanno qualcosa da dire in proposito. E anche i fratelli parmensi Luca e Marco Mazzieri, che con «Giovani» lasciano la commedia esistenziale e tentano un dramma attraversato da forti elementi autobiografici, narrato con stile povero che deve molto al Dogma di Von Trier e alle riflessioni umane dei fratelli Dardenne.
Matteo vive con la madre, gravemente ammalata, e da tempo medita di poter alleviare le sue sofferenze con un’iniezione letale. Juliette, invece, è incinta e desidera fortemente il bambino anche se il padre, un suo professore sposato, vorrebbe che se ne liberasse. Le loro strade si incrociano in campagna, dopo un incidente stradale. Si ritroveranno soltanto dopo aver preso decisioni importanti: Matteo getterà la siringa, Juliette terrà il bambino.
«Giovani», proprio perché coinvolge i Mazzieri in prima persona, rivela molti difetti. Può essere uno schematismo di sentimenti, un andamento un po’ episodico, uno stile non realmente personale (i Dardenne e Von Trier incombono), una recitazione degli sconosciuti protagonisti non sempre controllata.
Matteo è Davide Pasti, Juliette è Gallianne Palayret: lei più brava, lui più istintivo. Nel ruolo della madre di Matteo si rivede Lina Sastri, a suo agio in un ruolo tutt’altro che facile. «Giovani» ha il pregio di arrivare a grandi verità senza proclami né fanfare. È un piccolo film che ci ha toccato il cuore.