Pericle il nero
Il romanzo di Giuseppe Ferrandino «Pericle il nero» è ambientato a Napoli, tra vicoli e camorra. Il film che Stefano Mordini ne ha tratto è girato tra Bruxelles e Calais, dove i napoletani sono emigrati e i vicoli sono sostituiti da quartieri popolari classicheggianti e periferie urbane moderne. Ciò dovrebbe allontanare lo spettro del film camorristico del genere «Gomorra» (caso alto) o «Napoli violenta» (altri casi). Rimane comunque un margine di rischio perché Mordini racconta comunque vicende criminali, con molti personaggi che parlano con accento partenopeo, con un gran parlare d’onore, di favori, di rivalità e di vendette.
Il film, interpretato e prodotto da Riccardo Scamarcio e coprodotto da Les Films du Fleuve dei fratelli Dardenne, è tuttavia concepito come una sorta di racconto di formazione che si interessa molto più del percorso del protagonista che delle vicende malavitose, rappresentate con estrema crudezza solo quando necessario al progredire del racconto. Rimane una contraddizione di fondo: che cioè, nonostante l’ambientazione franco-belga e la volontà di affrancarsi dalle regole del genere, l’equilibrio tra analisi psicologica e violenza di repertorio rimanga molto difficile, di modo che allo spettatore arrivino chiari e forti i messaggi di violenza e molto meno quelli introspettivi.
Pericle Scalzone lavora a Bruxelles per don Luigi, boss delle pizzerie. Il suo lavoro consiste, letteralmente, nel fare il culo alla gente. Non nel senso di picchiare, ma proprio in quello di privarli della dignità maschile perché crollino anche le ultime barriere di resistenza alle richieste del boss. Pericle non ha una vita propria, né ideali, né aspirazioni. Un giorno, nel corso di una delle sue spedizioni, uccide (o crede di uccidere) Signorinella, sorella del boss rivale don Gualtiero. Don Luigi, che aveva appena stretto un accordo con il rivale, lo fa nascondere per il tempo che sarà necessario. Ma quando Pericle si rende conto di essere diventato merce di scambio, elimina un paio di killer e lascia Bruxelles riparando a Calais. Qui conosce la fornaia Anastasia e, con lei, una possibilità di vita diversa, per arrivare alla quale, però, sarà necessario portare a termine un’operazione molto rischiosa che, imprevedibilmente, lo condurrà alla riscoperta del proprio passato.
Alla resa dei conti «Pericle il nero» vuole essere proprio la narrazione di un percorso interiore che porta alla riscoperta di un’identità che fino a quel momento era stata sostituita da un’altra raccontata e voluta da altri. Forse per questo motivo, in un finale che non è interamente credibile soprattutto per le prospettive di sopravvivenza, a Pericle è concesso di poter usufruire di una fuga che lo riporta a Calais con in tasca i soldi necessari a lasciare la città con Anastasia e a stabilirsi altrove per cominciare una vita vera.
In un certo senso «Pericle il nero» ripropone alcuni temi già presenti in «Salvo», con la differenza che quest’ultimo non lasciava spazio a inutili speranze. Nonostante ciò, non si può dire che il film di Mordini voglia addolcire la pillola. È evidente, ad esempio, che la durezza delle parti legate alla delinquenza è proprio la rappresentazione di un altro mondo, di un’altra vita, dell’unica che il protagonista ha conosciuto fino a quel punto della sua esistenza. E non si può neanche dire che ci siano compiacimenti o insistenza nelle scene di violenza, che dovrebbero essere necessarie ad evidenziare la linea discriminante tra il prima e il dopo.
È sicuro, tuttavia, che buona parte del pubblico non sarà pronta per una rappresentazione del genere, soprattutto nel momento in cui l’esecutore della violenza è un attore come Riccardo Scamarcio, sempre ombroso e talvolta scorbutico ma in fin dei conti rassicurante. Interpretando Pericle dà una chiara dimostrazione del fatto di voler abbandonare un cliché. E, forzando i toni, sembra voler affermare «Se non basta neanche questo, non so più cosa fare».