PASSIONE
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DI FRANCESCO MININNI
Per entrare in «Passione» di John Turturro senza lasciarsi fuorviare da pregiudizi culturali o intellettualistici è sufficiente analizzarne il titolo: passione non vuol dire né storia, né analisi sociale, né percorso filologico, né rigore stilistico. Vuol dire passione, moto dell’animo, emozione, stupore, coinvolgimento dei sensi.
Se è così, «Passione» è un film giusto, capace di regalare straordinari pezzi di bravura capaci a loro volta di armonizzarsi in un corpus musicale che, pur evocando a più riprese la storia e lo scorrere del tempo, non mostra alcuna volontà analitica di alcunché che non sia lo spirito incontenibile dell’artista di strada che proprio a quella strada deve tutto il proprio impeto, la propria rabbia, il proprio amore. Pertanto, criticare Turturro per l’assenza di approfondimenti storici o sociali equivale, dal nostro punto di vista, a non aver capito il film.
Certo, esiste un itinerario storico che partendo dal «Canto delle lavandaie del Vomero» del 1200 passa attraverso «Era de maggio» e «Catarì» di Salvatore Di Giacomo, «O’ sole mio» di Di Capua, Mazzucchi e Capurro, «Dove sta Zazà» di Cioffi e Cutolo, «Dicitencello vuie» di Fusco e Falvo, «Tammurriata nera» di Mario e Nicolardi, per approdare a «Napul’è» di Pino Daniele e «Don Raffaè» di Fabrizio De Andrè.
Ma questo non vuol dire che John Turturro abbia voluto tracciare, nonostante qualche inserto di Cinegiornali Luce sull’arrivo delle truppe americane e l’eruzione del Vesuvio, un rigoroso percorso storico con ambizioni di analista sociale. Per lui Napoli, che anche per tanti sociologi resta un oggetto misterioso, è semplicemente un serbatoio di emozioni. Ora gioiose, ora disperate, ora cupe, ora luminose, ora sarcastiche e polemiche, ora di un classicismo quasi ieratico, ma pur sempre emozioni.
Documentario, sì, in quanto documento di un amore, di una vitalità, di una tradizione, di un cuore che, sottoposti a mille angherie buona parte delle quali dovuta alla propria accondiscendenza e all’abitudine, comunque non muoiono e si rinnovano nel tempo. Pur consapevoli della situazione sociale, dell’emergenza rifiuti, della piaga della camorra che trasforma i criminali in eminenze rispettabili, di una voglia di vivere che troppo spesso assume i connotati del tirare a campare, pur sapendo tutto questo, non possiamo non essere d’accordo con John Turturro quando si lancia in una dichiarazione d’amore (appassionata, naturalmente) che forse non richiede neanche un perché.