Parliamo delle mie donne
Quarantasei film in cinquantasette anni più una discreta serie di cortometraggi. E ottanta di età. Claude Lelouch è indubbiamente, tra i registi viventi, uno dei più longevi e prolifici. E anche, facendo i conti, uno dei più coerenti nella proposta di uno stile semplice alla luce di un magistero tecnico complesso e ricco. Il suo tema favorito è l’amore, che attraversa la sua carriera superando ogni barriera e sfidando lo scorrere del tempo. Il secondo tema è l’importanza della donna nella vita dell’uomo e gli inutili tentativi di quest’ultimo di prevalere per poi scoprire chi è il carattere dominante. Il terzo sono gli attori, portatori del suo messaggio (qualunque esso sia) e tramiti della sua poetica. L’ultimo, sempre e comunque, è una sorta di autocelebrazione che va oltre l’autobiografia: Lelouch celebra se stesso come regista, come filosofo, come pensatore, come viaggiatore oltre i confini del tempo, come essere carnale o spirituale, come patriarca eccetera eccetera.
Al di là della sostanziale piacevolezza del suo cinema, non si può fare a meno di considerare come l’eccellenza del contenitore non vada mai di pari passo con quella del contenuto, sovente volatile, superficiale, accattivante quanto debole. Parliamo delle mie donne, che risale al 2014 e non è il suo ultimo film (dopo ne sono venuti altri due), sembra ideale per definire le sue capacità e i suoi limiti.
Jacques Kaminsky, fotografo di fama mondiale, acquista una bellissima casa sulle Alpi e lascia per sempre Parigi. Egoista, ovvero innamorato di sé, e incapace di mantenere un legame duraturo, ha quattro figlie da madri diverse (che ha chiamato Primavera, Estate, Autunno e Inverno) e sogna di averle tutte con sé in quel luogo incantevole. Ci penserà l’amico medico Frédéric che, a sua insaputa, contatterà le ragazze informandole di una malattia che non dà scampo. E allora le quattro stagioni si presenteranno a chiudere il cerchio della vita. Ci saranno spiegazioni ma non abbastanza. Ci saranno rancori ma non abbastanza. Ci saranno esplosioni d’affetto ma non abbastanza. Ci saranno sorprese ma non abbastanza. Non abbastanza per impedire a Jacques di avere comunque l’ultima parola e di essere protagonista fino in fondo.
Considerando che Claude Lelouch ha sette figli da donne diverse, appare evidente che Jacques Kaminsky è un suo alter ego. Per quanto lo spunto di partenza del film ricordi da vicino quello de «La cena per farli conoscere» di Pupi Avati, la materia diventa interamente di Lelouch nel bene e nel male. Una composizione del racconto lineare nonostante le molte combinazioni tra i vari personaggi, una bellissima location alpina (incidentalmente, la casa del film è proprio quella del regista), una specie di gioco a nascondino con i sentimenti, un’ipotesi di redenzione che prelude a una nuova rovinosa caduta, un continuo ammiccamento nei confronti del pubblico che in realtà corrisponde a un gioco di prestigio nel quale nessuno sviluppo corrisponde ai segnali lanciati, una sceneggiatura che non si preoccupa di mischiare le carte pur di raggiungere l’obiettivo: Parliamo delle mie donne è un’autocelebrazione più che un’autocritica.
Lelouch vorrebbe comunque che i figli lo ricordassero con un affetto che lui è consapevole di non aver dato veramente e, per essere ancora più chiaro, ha intitolato il film «Salaud, on t’aime» che più o meno significa «Bastardo, ti amiamo»: gli basterebbe una dichiarazione di questo genere per essere in qualche modo felice. È ovvio che in un film così l’impeto personale conta molto più dell’equilibrio, della profondità, dello spessore. Di certo Lelouch è sempre riconoscibilissimo al limite dell’inconfondibile. Non è un maestro, ma ama il cinema con lo stesso entusiasmo di un bambino che apre i regali di Natale. E quando Johnny Hallyday e Eddy Mitchell guardano in televisione «Un dollaro d’onore» cantando con Dean Martin e Ricky Nelson, si capisce bene questo amore: da dove venga e dove vada. Roba di cui son fatti i sogni.
PARLIAMO DELLE MIE DONNE
(Salaud, on t’aime) di Claude Lelouch.
Con Johnny Hallyday, Eddy Mitchell, Sandrine Bonnaire, Iréne Jacob. FRANCIA 2014; Commedia; Colore.