NON È UN PAESE PER VECCHI

DI FRANCESCO MININNI

I fratelli Coen, premi Oscar, non sono più ragazzi terribili. Hanno smesso di giocare con i generi e di inserire nelle pieghe del racconto le loro bordate esistenziali. Molto più che in «Fargo» e senza appendici sarcastiche o di umorismo nero, con «Non è un paese per vecchi», tratto dal romanzo premio Pulitzer di Cormac McCarthy, vanno dritti allo scopo e ci raccontano quella che oggi, in America e altrove, è diventata l’unica certezza: la morte. E lo fanno con uno stile secco, addirittura essenziale, privo di compiacimenti, cominciando con un prologo che evoca il western, proseguendo tra lampi di noir e approdando a un sogno che potrebbe essere davvero l’ultima spiaggia. I Coen hanno tre protagonisti che praticamente non si incontrano mai e ciò nonostante riescono a strutturare un film compattissimo e teso che, tra simbologie e discorsi diretti, è praticamente impossibile da fraintendere.

C’è un reduce dal Vietnam, Moss, che trova nel deserto texano alcuni cadaveri, un sopravvissuto assetato e una borsa con due milioni di dollari. C’è un killer gelido e psicopatico che deve recuperare il denaro e non esita a uccidere chiunque gli si metta sul cammino. E c’è uno sceriffo molto vicino alla pensione che capisce il meccanismo e cerca (inutilmente) di metterci rimedio.

Evidentemente i personaggi rivestono un ruolo simbolico. Moss, che trova due milioni di dollari e poi torna sul posto per dare da bere al moribondo, è una sorta di patetico idealista che non sa cosa fare e comunque lo fa male. Anton potrebbe essere il male assoluto, al punto che in certi passaggi può anche ricordare la gelida meccanica di «Terminator»: ma anche lui risponde a una sorta di codice personale che lo porta a una strana idea di giustizia. Lo sceriffo Bell, il più legato a certi valori del passato, non sa capire l’escalation di violenza cieca che è costretto a fronteggiare, ma comunque agisce. E alla fine è proprio lui ad avere la prospettiva di vita più lunga, magari seduto in veranda a raccontare del sogno in cui ha rivisto suo padre. Da tutto questo, narrato con spietata lucidità, emerge l’immagine di un paese che non dà più certezze, di vite senza prospettive, di angoli oscuri che sicuramente ci attendono ma che sono già dentro di noi. I Coen, che non rinunciano all’amatissimo noir, aprono però il film (ambientato negli anni Ottanta) su uno scenario tipicamente western: il deserto, la carovana (di automobili, ma tant’è), i morti senza nome, lo sceriffo e i fuorilegge. Come a prefigurare un tuffo nella vecchia frontiera che invece, grazie all’elemento anacronistico della valigia piena di dollari, da zona di passaggio tra il passato e il futuro si trasforma in traghetto infernale per le anime dei defunti.

Il cast del film è assolutamente straordinario. Javier Bardem (Anton), Tommy Lee Jones (lo sceriffo) e Josh Brolin (Moss) non sono tre attori granitici e inespressivi. Ma, guidati dai Coen, limitano al minimo i cambi d’espressione restituendo con potenza la valenza simbolica dei personaggi. Così «Non è un paese per vecchi» diventa la straordinaria radiografia di un paese in caduta libera dove gli eventuali omaggi a Sergio Leone, Sam Peckinpah e Robert Aldrich impallidiscono di fronte al vero, grande ispiratore: Robert Altman, l’americano indipendente, che da «Anche gli uccelli uccidono» a «I compari», da «Nashville» a «Gang», da «America oggi» a «Radio America» ha sempre parlato dell’America, del mondo e della morte.

NON È UN PAESE PER VECCHI (No Country for Old Men) di Joel ed Ethan Coen. Con Javier Bardem, Tommy Lee Jones, Josh Brolin, Woody Harrelson. USA 2007; Drammatico; Colore