No – I giorni dell’arcobaleno

Nel 1988, a seguito di fortissime pressioni internazionali, il dittatore cileno Augusto Pinochet fu costretto a indire un referendum attraverso il quale il popolo avrebbe dovuto dichiararsi favorevole o contrario alla sua permanenza al potere per altri otto anni. E, siccome tutto il mondo osservava con estremo interesse, fu sua cura dare al tutto le caratteristiche della correttezza concedendo al partito del No le stesse opportunità di comunicazione di quello del Sì. Per un mese, in sostanza, le due fazioni avrebbero avuto a disposizione quindici minuti a testa per esporre in tv le loro ragioni.

Ora, può darsi che Pinochet fosse intimamente convinto dell’impossibilità della sconfitta, oppure che pensasse di restare al potere qualunque fosse stato l’esito del referendum: fatto sta che contro ogni previsione il partito del No ottenne la maggioranza decretando a tutti gli effetti la caduta del regime dittatoriale, soprattutto nel momento in cui lo stato maggiore dell’esercito voltò le spalle a Pinochet ritenendo giustamente che rimanere fermi sulle posizioni della dittatura avrebbe portato il Cile all’isolamento e alla rovina.

Ci sono molti modi di raccontare quei giorni ricchi di fermento e di ferma opposizione pacifica. Il cileno Larrain ne ha scelto uno che riesce a coniugare intelligenza e passione con risultati di eccellenza. Innanzitutto operando una scelta tecnica tutt’altro che facile: il film «No – I giorni dell’arcobaleno» è stato infatti girato con telecamere d’epoca che restituiscono un’immagine non perfetta indicatissima per rendere l’idea dell’incertezza, della lotta e della speranza, ma che soprattutto creano una incontestabile continuità con le immagini di allora, quindi con gli interventi di Pinochet e con quelli dei capi dell’opposizione. In un certo senso si ripensa a «Zelig» e alla straordinaria impresa tecnica di Woody Allen e del suo direttore della fotografia Gordon Willis. Ma la tecnica non basterebbe a sostenere un film narrativamente convenzionale o fragile.

«No», invece, è vincente anche sul piano della sceneggiatura e del tipo di racconto. Nel momento in cui è stato storicamente provato che buona parte dell’esito del referendum fu dovuto alle differenti campagne elettorali studiate dalle parti contrapposte, Larrain ha lasciato sullo sfondo i movimenti delle masse, la repressione della polizia, i commenti internazionali e ha posto al centro del racconto René Saavedra e Lucho Guzmàn, che non sono due agitatori di popolo, due leader politici o due ideologi, ma due pubblicitari. Ne consegue il fatto che il film si concentra principalmente sull’analisi del linguaggio usato per far pervenire al popolo l’idea di libertà da una parte e quella di conservazione dall’altra. Così Larrain, che ha precise convinzioni politiche ma è soprattutto un narratore per immagini, ricostruisce la genesi di quella che è una campagna pubblicitaria che ha cambiato i destini di un paese.

Ed è molto interessante il percorso interiore di Saavedra (interpretato con notevole misura da Gael Garcia Bernal) dalla presunzione di bravura professionale al progressivo coinvolgimento ideologico a una straordinaria incredulità al momento della vittoria. Larrain ha raccontato, sì, l’uscita del Cile dalla dittatura, ma più ancora l’importanza che in questa vittoria ha rappresentato l’uso delle tecniche della pubblicità. L’eroismo, la sofferenza, la fermezza di un popolo vengono dopo. Prima viene l’abilità professionale messa al servizio di due battaglie contrapposte: una per la dittatura, una per la libertà. Tanto per ribadire un dato ormai noto: che nessun regime può mai prescindere dall’importanza della comunicazione e che di solito ad avere la meglio sono quelli che riescono a seguire con attenzione le modifiche e gli aggiornamenti del linguaggio. In Larrain non c’è ombra di retorica: solo intelligenza e passione.NO – I GIORNI DELL’ARCOBALENO (No) di Pablo Larrain. Con Gael Garcia Bernal, Alfredo Castro, Antonia Zegers, Luis Gnecco, Marcial Tagle. Cile 2012.