Nemesi

Difficile etichettare in qualche modo il cinema di Walter Hill. Sicuramente affezionato ai generi classici come il noir e il western, probabilmente influenzato soprattutto negli ultimi anni da certe tecniche del fumetto, interessato a un individualismo sfrenato ma spesso venato di disperazione, Hill è soprattutto un narratore di conflitti, scontri e, tra le righe, di ricerche o perdite d’identità. Questa identità può essere sociale, professionale, mitica, esistenziale, politica e persino sessuale: in un certo senso Walter Hill, che ama il cinema classico e ne ripropone spesso struttura e luoghi, non è soltanto un cantore del passato, ma anche rivelatore di un presente sempre meno fornito di punti di riferimento. E arriviamo a Nemesi (che in originale è semplicemente The Assignment, cioè «l’incarico»). In questo film, forse più che in altri, è possibile individuare la doppia anima di Hill. Da una parte c’è il noir, con vicoli, locali notturni, sparatorie e, su tutto, l’angelo della vendetta. Ma dall’altra c’è una situazione estrema che rende il protagonista in cerca di un’identità che, per forza di cose, non riuscirà più a trovare costringendolo a ripetere all’infinito il ruolo dello spietato giustiziere.

Narrato attraverso una lunga serie di flashback, Nemesi racconta la vicenda di Frank Kitchen, un killer della mala che finisce sotto il bisturi della dottoressa Rachel Jane. Costei, per vendicare la morte del fratello, lo trasforma in donna con un intervento straordinariamente riuscito. E pensa, molto presuntuosamente, che il cambiamento esteriore porterà Kitchen a una nuova vita di espiazione. Non ha considerato che, apparenza a parte, dentro il corpo di donna possa essere rimasto Frank Kitchen tale e quale a prima. Anzi, bramoso di vendetta per la modifica del sesso e quindi ben deciso a fare piazza pulita. Il tutto è raccontato da Rachel a uno psichiatra che deve decidere sulla sua permanenza in un manicomio criminale.

Appare evidente che Nemesi sia un film pieno di difetti, dalle lacune di sceneggiatura alla costruzione fumettistica di qualche personaggio non secondario (la dottoressa Jane, per l’appunto). È talmente palese che fa seriamente pensare a una precisa volontà dell’autore. Ben deciso a mettere in scena una crisi d’identità estrema molto legata a tematiche di stretta attualità, Hill si è servito dei classici e di opere più recenti per comporre un quadro narrativo nel quale Frank Kitchen potesse muoversi senza perdere alcunché della propria forza prima trasgressiva, poi eversiva.

Il percorso, infatti, prevede che tutti i personaggi legati al noir o al gangster movie vengano eliminati o duramente puniti (in modo da uscire comunque di scena) e che sia soltanto Kitchen a rimanere in campo riaffermando la propria individualità a dispetto di ogni circostanza esterna. E il fatto che più di un particolare del rapporto tra la dottoressa e il killer evochi molto da vicino analoghe situazioni de «La pelle che abito» di Almodovar non deve far pensare a copie o citazioni: Nemesi attende di essere realizzato dal 1978 e, pur con successive modifiche, conteneva già gli elementi principali del racconto. Si potrà casomai argomentare su una certa ripetitività del racconto che, a lungo andare, fa cadere un po’ il ritmo.

Ma quel che interessava a Walter Hill era proporre una situazione estrema senza mezze misure e non si può dire che non abbia raggiunto lo scopo. Molto vicino a una rappresentazione della violenza tutt’altro che stilizzata, ma anzi del tutto priva di filtri e fin troppo diretta, Nemesi conferma la passione di Walter Hill per un’exploitation che supera a più riprese il suo maestro Peckinpah. Ci riesce molto difficile considerarlo un capolavoro. Ma forse il settantacinquenne Hill non ha ancora finito il suo viaggio.

NEMESI (The Assignment) di Walter Hill. Con Michelle Rodriguez, Sigourney Weaver, Anthony LaPaglia, Tony Shalhoub, Caitlin Gerard. USA/FRANCIA 2016; Thriller; Colore.