NELLA VALLE DI ELAH

Hank Deerfield ha fatto la guerra. È stato in Vietnam, è stato decorato e senza capire molto si è convinto che «chi per la patria muor vissuto è assai». Ma adesso, dopo aver già perso un figlio in aviazione, deve affrontare la scomparsa del secondo, Mike. Questi, tornato dall’Iraq, ha fatto perdere ogni traccia di sé in una base del New Mexico. E Hank, che conosce suo figlio e sa che tutto questo non rientra nelle sue caratteristiche, parte per Fort Rudd deciso a saperne di più. Con l’aiuto di una poliziotta non allineata, scoprirà una verità talmente atroce da fargli finalmente capire che non ci può essere né grandezza né coraggio in un re che manda Davide a combattere con cinque pietre contro Golia nella valle di Elah.

Dice Paul Haggis: «Ce l’ho con Bush. Avrei voluto scrivere commedie, ma lui mi ha costretto ad occuparmi di cose più serie». Così, dopo le sceneggiature di «Flags of Our Fathers», «Lettere da Iwo Jima» e persino «Casinò Royale» e dopo la regia (con Oscar) di «Crash/Contatto fisico», nasce «Nella valle di Elah», un film doloroso e riflessivo su un’America che, oggi, non ha più alcuna pietà. Non soltanto dei nemici, ma anche dei propri figli che, inviati a combattere in un inferno lontano, sono privati della loro umanità e, se anche sopravvivono, non saranno mai più quelli di un tempo. In questo senso «Nella valle di Elah» potrebbe essere un’ideale continuazione di «Full Metal Jacket»: quei soldati che avanzavano tra le rovine e i cadaveri cantando la marcia di Topolino sono tornati a casa. E adesso si uccidono tra sé. Paul Haggis è tuttora più sceneggiatore che regista e non riesce sempre a trasformare in evidenza visiva le idee che ha. Forse per questo motivo il suo film ha qualche problema di ritmo nella parte centrale, quella dell’indagine di Hank parallelamente ai balbettii della polizia locale. E forse per questo continuiamo a preferirgli la coralità di «Crash», sicuramente più capace di sorprendere e di attanagliare. Ma a sgombrare il campo da ogni obiezione ci sono tre fattori che non ammettono repliche: la lucidità della requisitoria, l’interpretazione di Tommy Lee Jones e Charlize Theron, la capacità di andare oltre il dato Iraq per affermare a chiare lettere che il problema della guerra è tutt’altro che limitato al campo di battaglia.

Haggis ha comunque la capacità di leggere i segni del presente senza mai dimenticare che vengono dal passato e che si tratta in un certo senso di perpetuare le tradizioni patriottiche senza dare a vedere di agire in realtà sotto la spinta di tutt’altre motivazioni. Il concetto è chiaramente espresso dal personaggio di Hank, un reduce dal Vietnam con un figlio che combatte in Iraq. Toccherà proprio a lui capire due cose: quanto possa essere difficile passare dalla divisa all’abito borghese come se niente fosse accaduto e soprattutto quanto l’America, che si erge a baluardo di difesa della democrazia, abbia in realtà un disperato bisogno d’aiuto.

Tommy Lee Jones, molto maturato con il passare degli anni, costruisce un’interpretazione fatta di sfumature, attraversata costantemente da una tensione sottocutanea e capace di trasmettere lo stupore della consapevolezza e il peso del dolore. Charlize Theron, invece, si camuffa da persona comune con un semplice lavoro di mimesi espressiva, dimostrando come il pesante trucco di «Monster» fosse poco più di un espediente spettacolare: a noi pare che sia più difficile riconoscerla in questo film. «Nella valle di Elah» dimostra come ci sia gente che riflette sulle cose e che poi, a dispetto delle mode e delle tendenze, sia disposta a trasmettere a chi abbia voglia di ascoltare qualche pensiero fuori del coro. Qualche pensiero su Davide, su Golia e soprattutto sul re.

NELLA VALLE DI ELAH (In the Valley of Elah) di Paul Haggis. Con Tommy Lee Jones, Charlize Theron, Susan Sarandon, Jonathan Tucker. USA 2007; Drammatico; Colore