Monsieur Lazhar
Potremmo dire che il Canada sta lanciando buoni segnali di accoglienza, tolleranza e attenzione ai problemi degli altri. Dopo «La donna che canta» di Denis Villeneuve, infatti, si ripresenta in «Monsieur Lazhar» di Philippe Falardeau il problema di un extracomunitario con ferite da guarire e che ha scelto proprio il Canada come nuova destinazione della propria esistenza. In più, questa volta, il personaggio principale del film non è semplicemente una persona sofferente che attende l’aiuto di qualcuno, ma è anche una persona che, per uscire dal proprio tunnel, si è posta come obiettivo quello di aiutare gli altri. Il terreno su cui Falardeau si muove è scivoloso, fortemente a rischio di semplificazioni o anche soltanto di esasperazioni lacrimevoli e sentimentali. Bisogna dire però che, sulla base di un testo teatrale di Évelyne de la Chenelière che in sostanza era un lungo monologo e che quindi è stato opportunamente drammatizzato, il regista ha saputo costruire un film semplice, toccante e, per quanto incamminato su vie già piuttosto conosciute, in grado di suscitare attenzione e una certa partecipazione emotiva. In sostanza, senza arrivare a livelli altissimi, «Monsieur Lazhar» si rivela film degno di rispetto, portatore di contenuti interessanti e valido strumento di discussione anche a scopi didattici.
In una scuola media di Montreal si verifica il triste episodio del suicidio di un’insegnante, che s’impicca nella sua classe. Evidentemente un evento del genere suscita fortissima emozione negli allievi e una seria preoccupazione nel corpo insegnanti, che temono traumi che potrebbero non essere in grado di gestire. In questo marasma psicologico e istituzionale si inserisce Bashir Lazhar, emigrato algerino, che si presenta alla preside dichiarandosi disposto a rilevare la cattedra. Per quanto la procedura non sia esattamente corretta, Lazhar è assunto in prova e, dopo una serie di tentativi, riesce a guadagnare la fiducia degli alunni e dei colleghi. Almeno fino al momento in cui si scopre che Lazhar non è affatto un insegnante e che in Algeria gestiva un ristorante. Alla radice di tutto c’è il suo trauma: la moglie (lei, sì, insegnante) e i due figli sono morti in un attentato mentre lui tentava di farli arrivare in Canada. Così Lazhar non ha neanche lo status di immigrato: è un uomo che ha chiesto asilo politico.
Si capisce bene come il percorso del film sia disseminato di ostacoli che, se non adeguatamente superati, porterebbero la storia sul versante del melodramma o dell’arido pamphlet politico. Falardeau, invece, si concentra principalmente sul rapporto tra Lazhar e gli studenti, in modo da far emergere la tematica principale: al mondo c’è sempre qualcuno che ha bisogno di aiuto, tanto meglio se si tratta di un aiuto reciproco. Se proprio dobbiamo fare un appunto al film è nell’eccessiva semplificazione di avvenimenti che in realtà richiederebbero un diverso approfondimento e che nella vita reale hanno sicuramente avuto uno svolgimento un po’ diverso. L’intento dell’autore è tuttavia quello di sensibilizzare il pubblico all’esistenza di problemi molteplici che vanno dal (semplice?) senso di colpa, all’attenzione a chi ci vive accanto, alla possibilità di accogliere chi viene da fuori tendendo una mano invece di chiedere soltanto un documento, alle complesse problematiche dell’età della crescita dove non sempre i genitori si rivelano le persone indicate per capire e solidarizzare. E in questo la sua missione può dirsi compiuta, anche grazie a un protagonista, Mohamed Sahid Fellag, al suo primo ruolo drammatico dopo una lunga esperienza come attore comico, e a molti ragazzi che riescono a non dare l’impressione di recitare. «Monsieur Lazhar» è stato candidato all’Oscar come miglior film straniero in quanto proviene dal Canada francofono. Può essere la maniera giusta per accostarsi alla nuova stagione cinematografica.
MONSIEUR LAZHAR (Id.) di Philippe Falardeau. Con Mohamed Sahid Fellag, Sophie Nélisse, Émilien Néron, Danielle Proulx, Brigitte Poupart. CANADA 2011; Drammatico; Colore