MIO FRATELLO È FIGLIO UNICO

DI FRANCESCO MININNI

Il libro cui Daniele Luchetti si è liberamente ispirato per «Mio fratello è figlio unico» si chiama «Il fasciocomunista» di Antonio Pennacchi. Dato il titolo, si capisce quanto lavoro debba aver svolto Luchetti per eliminare categorie e categorizzazioni, luoghi comuni ed estremismi politici. Perché il suo film, che pure nella politica in quanto dato storico è immerso fino al collo, parla essenzialmente di due fratelli, dei loro percorsi umani e sociali, della loro frequentazione su sponde diametralmente opposte e del loro rimanere comunque fratelli, in grado di avere un rapporto e un dialogo, in grado insomma di volersi bene nonostante tutto. Il programma è questo e, se non altro, ci permette di ritrovare quel Luchetti che, dopo aver pensato troppo in grande ne «I piccoli maestri», era finito a vanzineggiare in «Dillo con parole mie» rischiando di non farsi riconoscere neppure dai suoi più affezionati sostenitori. «Mio fratello è figlio unico» (una canzone di Rino Gaetano che non compare nella colonna sonora del film) segue un percorso molto simile a quello indicato da Marco Tullio Giordana ne «La meglio gioventù»: crescita, rivalità, amori, contrasti, lotte politiche e soprattutto una brusca sterzata verso il terrorismo che in entrambi i casi appare più drammaturgica che consequenziale.

A Latina, negli anni Sessanta, crescono Manrico e Accio. Dei due, il primo sembra il più sicuro della strada da seguire: impegnato, comunista, operaio, agitatore, non esita a organizzare occupazioni e scioperi, picchettaggi e rivendicazioni. Accio, invece, è ondivago. Entra in seminario, ne esce quando non ottiene risposte a domande che gli sembrano basilari, si iscrive al Movimento Sociale sull’onda degli insegnamenti di un fascista, ne esce quando percepisce l’inutilità di una violenza fine a se stessa e si ritrova dalla parte opposta, nelle file della sinistra. In realtà, tra i due, è lui che nonostante le apparenze compie il percorso più meditato e formativo. Manrico, più superficiale e più favorito da fascino e parlantina, finirà a fare il terrorista senza perchè. Così, alla fine, sarà Accio, anche in memoria sua, ad impegnarsi attivamente per qualcosa di realmente costruttivo.

Non possiamo dire che Luchetti riesca a rendere omogenea una materia tanto varia e fitta di episodi. Il film, infatti, viaggia sull’onda di emozioni, di momenti di intensa drammaticità e di altri di ordinario compiacimento. Riesce tuttavia a interessarci alle vicende di due ragazzi che, in fondo, sono le vicende di un paese e di un momento della nostra storia. E lo fa con la massima obiettività possibile, senza eccessive speranze né abissi di disperazione, aiutato in questo da un bravissimo Elio Germano (Accio) e da un Riccardo Scamarcio che, una volta liberatosi dello status symbol di bello e dannato, potrebbe anche rivelare doti di interprete al di là del bell’aspetto.

MIO FRATELLO È FIGLIO UNICO di Daniele Luchetti. Con E. Germano, R. Scamarcio, L. Zingaretti, A. Finocchiaro