«MILLE MIGLIA… LONTANO»

DI FRANCESCO MININNIIl percorso artistico di Zhang Yimou è realmente interessante. Conosciuto in Occidente per le sue opere storico-sociali «Lanterne rosse» e «Vivere!», non ha mai mostrato di volersi adagiare su un genere o di voler andare in una sola direzione. Così sono venuti il noir anomalo «Shanghai Triad», il dramma sociale «Non uno di meno» e il fiammeggiante «Hero» pieno di duelli e di arti marziali. Tutto inserito in una grande tradizione orientale che è quella del teatro delle maschere. Non stupisce, quindi, il ritorno di Yimou alle storie contemporanee, così come non stupisce il fatto che l’autore vi torni più con i toni del melodramma che con quelli dell’analisi sociale. «Mille miglia… lontano», in un certo senso, mostra qualche analogia con «La stella che non c’è» di Gianni Amelio: il lungo viaggio di un uomo alla ricerca di una ragione di vita.

Il pescatore Takata riceve la notizia che il figlio, con il quale non parla da anni, è ammalato di cancro. Dopo una visita senza esito all’ospedale, l’uomo decide di intraprendere un viaggio in Cina per raggiungere un villaggio dove un attore canterà per lui l’opera «Mille miglia lontano». Lui la filmerà e la farà vedere al figlio, da sempre interessato all’Opera cinese. È ovvio che il viaggio sarà molto più complesso del previsto. Ma la scoperta di tanta gente disposta ad aiutare e l’incontro con un bambino bisognoso d’amore faranno recuperare a Takata il rapporto con quel figlio che, nel frattempo, morirà in Giappone.

Se proprio si deve imputare qualcosa al film di Yimou è il fatto che, a un certo punto, scorrano troppe lacrime. Come da tradizione, certo, ma con il rischio che certe verità appaiano un po’ più melodrammatiche e meno reali. E c’è anche una voce fuori campo (quella del protagonista) che dovrebbe dar voce ai pensieri dell’uomo ma che in realtà finisce per spiegare passaggi narrativi e psicologici che le sole immagini basterebbero a chiarire. È comunque notevole il lavoro del regista sull’ambientazione: strade tortuose, paesaggi rocciosi nei quali è facile perdersi, un luogo chiamato Villaggio di Pietra o anche soltanto una scogliera battuta dalle onde del mare. Niente di riposante, come il percorso interiore di Takata (un encomiabile Takakura Ken) per andare a cercare le ragioni della speranza in fondo al cuore.

«Mille miglia… lontano» ha il pregio della semplicità e dell’immediatezza, tanto da riuscire ad evocare a più riprese il neorealismo «sentimentale» di Vittorio De Sica. Anzi, proprio come De Sica Yimou mostra la volontà di non lesinare sui sentimenti e sugli stati emozionali assumendosi tutti i rischi di un’operazione che potrebbe sfuggirgli di mano e cadere nel melodramma da rotocalco. Ivi compresa la presenza di un bambino che non è mai garanzia di equilibrio e rigore. Tutto sommato il risultato è confortante: Yimou è un buon compositore di immagini e narratore di storie. Il che significa che sa cosa raccontare e come farlo.

MILLE MIGLIA… LONTANO(Qian li zou dan qi) di Zhang Yimou.Con Ken Takakura, Kiichi Nakai, Shinobu Terajima, Jiang Wen.CINA/J/HONG KONG 2005;Drammatico; Colore