Miele
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Evidentemente curiosa del presente e socialmente impegnata in battaglie su argomenti di fondo, La Golino ha voluto raccontare la vicenda di Irene (detta Miele), una sorta di angelo della morte che aiuta i malati terminali a lasciare questo mondo e che si trova completamente impreparata il giorno in cui un cliente, l’ingegner Grimaldi, le confessa senza problemi di non avere alcuna malattia, ma di essere semplicemente stanco e annoiato da una vita che non gli riserva più sorprese. Quindi, a priori la Golino traccia una linea discriminante tra chi avrebbe tutti i diritti di scegliere il momento di morire e chi invece, trovandosi in perfetta salute, non dovrebbe avere motivi per andarsene.
I due blocchi fanno capo a uno schematismo pericoloso cui non è nostra intenzione aderire. Pare evidente, infatti, che se si ha un principio sia nostro dovere applicarlo a tutto il genere umano senza fare distinzioni che, automaticamente, renderebbero la parola principio del tutto vuota di significato. D’altronde, non è nostra intenzione costringere chicchessia ad avere il nostro punto di vista. Il che, tutto sommato, è anche il percorso che ha tentato di fare Valeria Golino realizzando non tanto un film sull’eutanasia, quanto sui dubbi e le contraddizioni di chi dovrebbe praticarla.
Irene, di fronte al caso Grimaldi, va in crisi. Prima tenta di recuperare la fiala fatale, poi prende a frequentare Grimaldi instaurando con lui un particolare rapporto dialettico e psicologico. Sa benissimo, dentro di sé, che le si è creato un conflitto insanabile. Come può, cioè, dissuadere Grimaldi dal suicidio continuando ad aiutare i malati terminali a morire? E infatti Irene, che dietro l’apparenza di una vita tranquilla nasconde un consistente bagaglio di insicurezze e una sostanziale mancanza di punti di riferimento, cessa la propria attività. A quanto pare taglia anche i legami prima con Rocco (che chiameremo il datore di lavoro) e poi con Stefano (che chiameremo l’innamorato). Dopo la morte di Grimaldi, segue un suo consiglio e va a Istanbul a verificare se sia possibile che una corrente ascensionale sia in grado di sostenere il peso di una cupola.
«Miele» trae molta forza dal confronto attoriale tra Jasmine Trinca e Carlo Cecchi, al punto che tutti gli altri attori finiscono per fare la figura di comparse. Possiamo dire, quindi, che a livello di confronto umano il lavoro di Valeria Golino ha dato buoni frutti. È il resto, però, a lasciare perplessi: in primo luogo la rappresentazione ai limiti del grottesco delle «cerimonie» di addio alla vita, con tanto di musica scelta dal soggetto, parenti in lacrime e Irene molto compresa (e sicura) del proprio ruolo. In secondo luogo, la mancanza di un preciso punto di riferimento (sia esso una fede, un’umana convinzione o un principio etico) fa sì che si venga a creare un dualismo tra chi può (perché può?) e chi non può (perché non può?) accedere alla scelta di morire.