Meccanismo all’ultima sorpresa: «IDENTITÀ»
Basato su una sceneggiatura molto cervellotica di Michael Cooney, «Identità» ha la fortuna di arrivare a un passo dalla fine senza che nessuno abbia la più pallida idea di quale possa essere la destinazione della storia. E non basta: quando i giochi sembrano fatti, tira fuori un altro coniglio dal cappello per un controfinale inquietante di tutto rispetto. Il tipico caso in cui, pur non uscendo praticamente mai dai binari del già visto, una storia riesce a tenere desta l’attenzione quasi come fosse la prima volta.
A causa di un diluvio che ha interrotto due strade, alcune persone si ritrovano bloccate in un motel: il gestore e proprietario, un’attrice con un ex-poliziotto come autista, un poliziotto che sta scortando un pericoloso serial killer, una coppia di giovani in lite, una coppia di sposi con bambino e una prostituta che sogna di comprare un agrumeto. A molti chilometri di distanza, un giudice e alcuni avvocati si riuniscono per deliberare sul destino di un serial killer a un passo dalla pena capitale. Mentre i reclusi del motel cominciano a morire, ci si chiede come le due storie potranno avere qualche punto in comune. È tutta questione di pazienza… Meccanico nel gioco a eliminazione diretta che occupa tutta la prima parte, «Identità» comincia a seguire strade impreviste quando intervengono elementi che non seguono più un iter razionale. Legato a un raro fenomeno psicotico, le personalità multiple, poco frequentato dal cinema (giusto «La donna dai tre volti» e «Doppia identità»), senza pretendere alcuna profondità scientifica, «Identità» punta semplicemente allo spettacolo di alto livello, coinvolgendo attori affidabili come John Cusack e Ray Liotta, raramente contagiati dal virus del divismo. In questo senso Mangold, giocando slealmente ma con intelligenza, ottiene un prodotto medio da non sottovalutare. Da ricordare: il bello delle sorprese è quando sono veramente inaspettate.