Martin Eden

Soprattutto perché il regista Pietro Marcello, proprio come Jack London e Martin Eden, può essere considerato appartenente alla «gente di mare» (requisito fondamentale per tentare un’operazione del genere) e poi ricercatore della conoscenza in uno spazio che non conosce confini.

Detto questo, è evidente che la scelta di Napoli implica un’affermazione di universalità del testo che vuol dimostrare come le caratteristiche di Martin siano ugualmente rappresentabili sotto latitudini diverse da quelle volute dallo scrittore, oltre al fatto che ribadisce l’idea della libertà creativa e della ricerca di uno scenario più conosciuto nel quale mantenere intatte le direttrici dell’opera di London. Poi, nessuno nega che da parte di Marcello questo abbia richiesto un grande impegno compositivo: ma la coerenza del suo stile e le scelte espressive hanno contribuito molto al risultato finale.

Ai primi del secolo, il marinaio Martin Eden decide di seguire due percorsi: l’amore per Elena Orsini, ragazza di ottima famiglia, e l’ardente desiderio di avere un’istruzione e soprattutto di diventare scrittore. Ciò lo porta a una serie di incontri che lo segnano e gli fanno capire quanto difficile possa essere dare la scalata ai propri sogni senza dover scendere a qualche compromesso con il mondo. Martin è fondamentalmente socialista, ma non esita a dar voce ai propri pensieri anche quando contrastino con il rigore della dottrina. Lui, da sempre uomo del popolo, trova difficile capire quali ostacoli possano frapporsi sul cammino dell’amore per Elena, che da parte sua cerca di abbandonarsi al sentimento ma resta intimamente borghese. Quando i suoi romanzi e i suoi saggi saranno pubblicati, Martin dovrà prendere atto di un cambiamento interiore che lo sta portando lontano dagli ideali iniziali. E allora, ricco e infelice, risponderà al richiamo del mare per l’ultima volta.

A fare il film sono soprattutto due componenti: la potente interpretazione di Luca Marinelli e lo stile registico di Pietro Marcello. Questi, memore de La bocca del lupo e Bella e perduta, prepara il percorso di Martin verso il confronto finale con se stesso utilizzando tutte le caratteristiche di uno stile sempre sospeso tra il realismo e il documentario. Quando sembra che la destinazione tecnica del film sia caratterizzata da una macchina da presa che sta addosso ai personaggi e che utilizza le varietà della messa a fuoco a scopi psicologici, Marcello apre improvvisamente a campi lunghi che rivelano straordinari squarci paesaggistici ora marittimi, ora cittadini, ora campagnoli, come a dire che Martin Eden sta lottando anche a suon d’inquadrature per raggiungere traguardi più complessi di quanto avesse immaginato. E, alternando immagini d’epoca in bianco e nero, ci fa capire come in fondo la sua intenzione non sia quella di rappresentare un periodo storico, ma le profondità di un animo umano in via di costruzione.

Martin Eden, alla fine, trasmette una sensazione di atemporalità che contribuisce a rendere universale il percorso del protagonista. Come a voler dire che il marinaio curioso della vita, della conoscenza e dell’amore immaginato da Jack London non deve per forza essere confinato in un arco di anni prestabilito, ma trae maggior forza dall’essere vagabondo di un sempre che in fondo equivale alla storia dell’uomo.

Se una cosa si può imputare a Martin Eden è una seconda parte che, al momento di tirare le fila, non riesce a sintetizzare e dilata troppo i tempi del racconto. Ma il tentativo di Marcello è apprezzabile, capace di creare la poesia del sogno e di farla infrangere contro le scogliere della vita.

MARTIN EDEN di Pietro Marcello. Con Luca Marinelli, Jessica Cressy, Carlo Cecchi, Marco Leonardi, Vincenzo Nemolato. ITALIA/FRANCIA 2019; Drammatico; Colore