«MANDERLAY»
Si ha l’impressione, però, che il secondo tassello della sua trilogia sull’America sia più legato del primo a materiale di repertorio e quindi meno capace, rispetto a «Dogville», di ottenere un interessante effetto sorpresa. La questione razziale, a parte qualche insolita riflessione conclusiva sull’effettivo desiderio di liberazione della gente di colore (che in realtà appartiene alla vocazione del von Trier provocatore, non certo del sociologo o dello storico), lascia meno spazio alla possibilità di proporre qualcosa di originale. E così le scenografie stilizzate sono le stesse di “Dogville”, così come i rapporti tra i personaggi (indipendentemente dal colore della pelle) sono legati dalla stessa idea di profitto e sopraffazione. Unica differenza: una sana ironia conclusiva sul come e sul perché Grace fu costretta a lasciare Manderlay a piedi invece che in automobile.
Il terzo atto ci rivelerà se von Trier avesse effettivamente qualcosa di più e di meglio da dire, oppure se «Dogville» da solo gli avrebbe fruttato (per così dire) maggior gloria e celebrità.
MANDERLAY (Id.) di Lars von Trier. Con B. Dallas Howard, I. de Bankolè, W. Dafoe, D. Glover, L. Bacall.