Ma tu sei il mio angelo custode? «IO NON HO PAURA»
Michele Amitrano, dieci anni, vive nell’entroterra pugliese. Un giorno, giocando con gli amici, scopre una buca coperta da una lamiera. Nella buca c’è il coetaneo Filippo, vittima di un rapimento e convinto di essere già morto. Poco importa che il padre di Michele sia coinvolto nel sequestro e che il luogo completamente isolato escluda l’intervento di aiuti dall’esterno: Michele farà la sua scelta.
Il punto di vista giusto è quello dei bambini: Salvatores ha avuto la buona idea di non spostare mai la macchina da presa da un metro e mezzo da terra, di modo che lo spettatore veda le cose come le vedono i bambini. Una sorta di soggettiva generazionale che, insieme all’azzeccatissima ambientazione in mezzo al grano, rappresenta il dato stilistico più saliente di un film che trasforma una storia qualunque (se ne leggono fin troppe sui giornali) in un reportage sul coraggio, l’innocenza e tutte quelle forze buone che fanno andare avanti il mondo. Così facendo, Salvatores sfodera una sensibilità che gli conoscevamo soltanto quando era in ballo l’amicizia tra uomini della sua generazione. E, per non essere da meno di tanti grandi del passato, inventa anche due protagonisti cui, come sempre in casi del genere, auguriamo di non diventare mai attori: Giuseppe Cristiano, un Michele prima attonito e poi sempre più consapevole della posta in gioco, e Mattia Di Pierro, un Filippo smarrito e innocente che con la sua sola presenza punta un indice accusatore contro ogni genere di indifferenza.