L’UOMO CHE VERRÀ

DI FRANCESCO MININNI

La strage di Marzabotto rimane una delle pagine più nere della seconda guerra mondiale: tra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944 i nazisti in ritirata, allo scopo di bonificare la zona per non rimanere imbottigliati sull’Appennino, uccisero oltre 700 persone, soprattutto vecchi, donne e bambini. Ma il film di Giorgio Diritti «L’uomo che verrà» non è esattamente un film sulla strage. È piuttosto la cronaca dei nove mesi precedenti, con immagini della vita della gente del posto, con paure e speranze, con un andamento per quanto possibile abitudinario in attesa dell’inevitabile massacro. «L’uomo che verrà» non è un film sull’odio e sulla cieca follia della guerra, ma sul desiderio di continuare, sulla vita e sulla speranza. E soprattutto è un film che, lontano da un’iconografia tradizionale e da un racconto di guerra convenzionale, si distende in ritmi molto lenti e, adottando la parola locale (il dialetto emiliano, che necessita di sottotitoli per essere ben compreso), i silenzi e i rumori della natura, finisce per favorire la riflessione e il ragionamento. Si capirà così che l’intento di Diritti non è quello di stigmatizzare la crudeltà del nazismo o la brutalità del conflitto (di ogni conflitto), ma piuttosto quello di esaltare il valore della memoria che si trasforma in insegnamento di vita, per una riflessione che di certo non può essere confinata negli angusti limiti del 1944, ma che si estende a macchia d’olio sulle epoche successive e su ogni circostanza in cui la follia umana abbia avuto la meglio sui valori autentici e sul naturale procedere delle cose.

È evidente che «L’uomo che verrà» può presentare qualche assonanza sia con l’Olmi de «L’albero degli zoccoli» (la vita contadina) sia con i Taviani de «La notte di San Lorenzo». Ma ci sembra normale che, trovandosi a narrare una storia di contadini a tu per tu con la guerra, Diritti abbia per forza di cose incrociato sentieri già percorsi da altri, tanto meglio se di grande valore umano e cinematografico. In realtà il film cui «L’uomo che verrà» fa pensare di più è «Miracolo a Sant’Anna»: fa pensare a che bel film sarebbe stato se Spike Lee non avesse seguito imprevedibilmente la strada del melodramma bellico invece di quella dell’indagine umana e sociale. Essendo una storia corale, è difficile individuare un modo di raccontarla salvo l’episodio del massacro. Preme sottolineare, però, come Diritti abbia realmente voluto privilegiare il valore della vita su quello dell’odio e della distruzione. La piccola Martina, diventata muta a seguito della morte di un fratellino neonato, osserva e capisce tutto. Sua madre Lena è di nuovo incinta. Quando la furia dei nazisti si scatenerà, sarà proprio Martina, una dei pochi sopravvissuti, a farsi carico della sopravvivenza del nuovo fratellino, rischiando la vita per andare alla ricerca del latte necessario a nutrirlo e, alla fine, ritrovando la parola per cantargli una ninna nanna. In Martina c’è tutto il valore di un film che, con semplicità e linguaggio diretto, si disinteressa di effetti speciali e melodramma per andare al cuore della verità di una storia che, a quanto pare, è importante conoscere per evitare che possa ripetersi.

Certo, Giorgio Diritti non ama le strade facili. Il suo film precedente, «Il vento fa il suo giro», aveva i sottotitoli perché parlato in lingua occitana. «L’uomo che verrà» ha i sottotitoli perché parlato in dialetto emiliano stretto. Quello che potrebbe sembrare un puntiglio fine a se stesso o un vezzo intellettuale da snob, è invece una sincera ricerca di verità di stampo neorealistico che pensiamo sarebbe molto piaciuta a Roberto Rossellini. Così facendo, Diritti mostra un rigore che esclude ogni esibizione di superiorità. E mostra anche un coraggio che indica in lui la volontà di lavorare con scrupolo e sincerità anche a prezzo di chiudersi qualche porta del grande mercato. Nella generale sensazione di verità, due attrici professioniste come Maya Sansa e Alba Rohrwacher dimostrano una grande capacità mimetica riuscendo a nascondersi nel quadro d’insieme, dal quale stacca invece come un gigante la straordinaria semplicità di Greta Zuccheri Montanari, indimenticabile Martina. Quanto all’uomo che verrà, è indubbiamente la speranza di un domani migliore.

L’UOMO CHE VERRÀ di Giorgio Diritti. Con Maya Sansa, Alba Rohrwacher, Claudio Casadio, Greta Zuccheri Montanari, Francesco Galavatti. ITALIA 2009; Drammatico; Colore