L’ultima sfida

È evidente che, nel passaggio dalla Corea a Hollywood, Jee-Woon abbia dovuto adeguarsi alle regole del cinema americano perdendo molte delle proprie caratteristiche di indipendente. È un fatto, però, che pur lasciando forti dubbi sulle tematiche affrontate, «L’ultima sfida» abbia se non altro una certa forza compositiva, un senso dell’immagine, un ritmo serrato e, qua e là, alcune tracce residue di Sergio Leone nei bruschi passaggi da campi lunghissimi a primissimi piani. Tracce tecniche, perché per quanto riguarda l’aspetto tematico il film fa il possibile per ricostruire la vecchia frontiera che l’autore italiano aveva provveduto a chiudere con il sigillo della Storia. Per cui si viene a creare una situazione abbastanza schizofrenica: da un lato un regista che conosce bene il mestiere e che è consapevole delle fonti, dall’altra uno sceneggiatore (Andrew Knauer) che invece vorrebbe riportare indietro l’orologio a quando un protagonista che afferma lapidario «Io sono lo sceriffo» non solo era buono e giusto, ma poteva anche assumere le caratteristiche di un Dio in terra.
Ecco che torniamo al nocciolo della questione: il protagonista è Arnold Schwarzenegger e le regole sono più le sue che di registi, produttori o sceneggiatori. Una piccola differenza che trasforma «L’ultima sfida» in un manuale dello scontro all’ultimo sangue dove non è un caso se il singolo (sempre Schwarzenegger), indipendentemente dall’età che ha e dal numero dei nemici che è chiamato ad affrontare, conta molto più delle istituzioni (nel caso specifico l’Fbi) e probabilmente della legge stessa.
Ray Owens, ex-poliziotto di Los Angeles, è diventato sceriffo di Sommerton, al confine tra l’Arizona e il Messico. Quando comincia a notare strani movimenti di mezzi di trasporto e facce nuove, ci mette poco a convincersi che si sta preparando qualcosa di grosso. E ha ragione: il boss della droga Gabriel Cortez, fresco di evasione, ha deciso di usare proprio Sommerton come punto di passaggio per tornare in Messico e, pur di raggiungere il proprio scopo, non esita a mettere in campo un vero e proprio esercito. Non sa, Cortez, che ad aspettarlo c’è proprio Ray, a sua volta pronto a tutto pur di fermarlo. E in questi casi pronto a tutto significa con pochi uomini (o donne) a disposizione e un arsenale di armi da far invidia alle forze armate.