Loveless

Narratore altamente simbolico del proprio paese, una Russia in cui il gelo del clima sembra sempre più corrispondere a quello dei cuori, Andrey Zvyagintsev si era rivelato con «Il ritorno» e «Leviathan», opere che dovevano molto ai maestri Tarkovsky e Sokurov. Ma bisogna anche dire che i ritmi sono evidentemente quelli più congeniali all’autore e che il simbolismo è il linguaggio a lui più familiare. Detto questo, la discendenza è un fatto quasi naturale.

Adesso, con Loveless, Zvyagintsev dà l’impressione di restringere il campo visivo per occuparsi della crisi di una coppia sposata con figlio e invece continua a parlare del paese in cui vive, della deriva dei sentimenti, dell’ascesa al potere dell’egoismo più sfrenato e dell’indifferenza nei confronti dei diritti dei più deboli. Così, mentre si allontana Sokurov e permane una forte traccia della poetica interiore di Tarkovsky, si affaccia prepotentemente il cantore dell’inaridimento dei rapporti umani, Ingmar Bergman, che si occupò dell’argomento in «Scene da un matrimonio» (1973) e che Zvyagintsev stesso cita come fonte d’ispirazione. Precisando però che ogni eventuale somiglianza deve essere letta tenendo presente il dato ambientale russo. Non è un caso, appunto, se Loveless inizia con una lunga serie di inquadrature d’ambiente: paesaggi senza persone, alberi dai rami ghiacciati, neve, un freddo quasi tangibile, qualche architettura solitaria. Un freddo climatico che, si capisce subito, corrisponde al gelo dei sentimenti.

Zhenya e Boris sono in corso di separazione. Hanno già un altro uomo e un’altra donna (già incinta) per ricominciare. Non si sono mai amati. Lei si è sposata per fuggire dalla sfera d’influenza materna, lui per un’idea di stabilità e di controllo. Ma hanno prevalso i rispettivi egoismi, che a tutti gli effetti hanno impedito la nascita di un rapporto autentico. Che male c’è? Ci si lascia e si riparte da zero. Tutto questo esclude la presenza di Alyosha, il figlio dodicenne mai realmente voluto che rappresenta un impedimento sia per Zhenya che per Boris. I quali parlano del suo futuro, di un collegio, del servizio di leva, di qualunque cosa lo possa togliere di mezzo. Lui ascolta non visto e, consapevole del suo ruolo di indesiderato, se ne va da casa. Nonostante il blando interessamento della polizia, le ricerche di un’organizzazione privata di volontari, il coinvolgimento di insegnanti e compagni di scuola, Zhenya e Boris continuano a sputarsi addosso veleno e ad occuparsi molto più di sé che del ragazzo. Alyosha non sarà mai ritrovato. Boris avrà un nuovo figlio che tratterà esattamente come il primo. Zhenya, anch’ella accasata, continuerà le proprie occupazioni soffermandosi ogni tanto a guardare nel vuoto.

Loveless è un film di rara potenza espressiva dal quale il gelo dei sentimenti sembra diventare una destinazione senza alternativa. Eludendo il rischio dell’autocompiacimento sulle lunghe inquadrature con o senza persone in campo, Zvyagintsev dimostra come con la tecnica cinematografica si possa anche scendere all’interno dei personaggi per scoprire qualcosa o niente. E non cambia registro per tutto il film, che non si trasforma in un thriller (come avrebbe potuto in presenza di una soluzione a sorpresa) ma resta saldamente ancorato alla ricerca paesaggistica che corrisponde a quella umana. Zhenya e Boris, vittime dell’egoismo e carnefici dei sentimenti, proprio non riescono a mostrare un barlume di umanità. Il loro mondo è un «io» assoluto che esclude la possibilità di apertura agli altri, siano essi un figlio o un compagno di vita.

In questo senso Maryana Spivak e Aleksey Rozin sono perfetti nel non suscitare alcuna commozione o empatia. E Andrey Zvyagintsev si conferma autore capace, rigoroso e rigorosamente pessimista, fermamente convinto che i movimenti di macchina servano ad esprimere movimenti interiori. In Loveless ce ne sono pochissimi.

LOVELESS (Nelyubov) di Andrey Zvyagintsev. Con Maryana Spivaak, Aleksey Fateev, Marina Vasilyeva. RUSSIA 2017; Drammatico; Colore.