LONTANO DA LEI
DI FRANCESCO MININNI
Conoscevamo Sarah Polley in veste di attrice. Niente di semplice: prima «Il dolce domani» di Atom Egoyan, poi «La vita segreta delle parole» di Isabel Coixet. E ritroviamo proprio Egoyan, autore scorbutico e fuori schema, nelle vesti di produttore per il suo esordio da regista: «Lontano da lei», apparentemente un film minimalista e con alto tasso di emotività, in realtà una riflessione bella e terribile, dura e dolcissima, sorridente e disperata sull’amore, sulle sue conseguenze, sui suoi limiti e su quanto si può fare per abbatterli. E si esce dal film interdetti e ossessionati da una situazione come quella narrata applicata alla nostra esistenza. Poi, una volta superata l’onda emotiva, si comincia ad avvertire l’eco lontana della serenità. E infine si conclude che Sarah Polley, ventottenne coraggiosa, ha molte frecce al proprio arco.
Il matrimonio tra Grant e Fiona dura da quarantacinque anni. Non è certo un matrimonio da Guinness dei primati: nel corso del tempo si avverte che siano intervenuti incidenti di percorso forse anche pesanti, ma non tali da portare a una divisione. E adesso, nel loro rifugio immerso nelle nevi del Canada, Grant e Fiona attendono la vecchiaia (c’è tempo: lei ha appena 63 anni). E invece arriva l’Alzheimer. Fiona lo sa, forse lo teme, ma lo attende con qualcosa di simile alla serenità. Sarà Grant, anello debole della catena, a dover soffrire di più. Fino a convincersi che ogni amnesia, ogni comportamento anomalo, ogni stranezza, ogni sorriso vanno accettati per amore.
Tratto da un racconto di Alice Munro, «Lontano da lei» riconcilia con il cinema di sentimenti. Quelli veri, studiati poco a tavolino e raccontati così come fluiscono nella vita. Con una durezza che, a lungo andare, si riconosce per quello che è: l’ultima spiaggia di una dolcezza impegnata in una spasmodica lotta per la sopravvivenza nel contesto di qualcosa che, inevitabilmente, muore. Sarah Polley non racconta una storia per cuori teneri: riesce anzi a dare un’idea molto precisa del progredire del male e del suo effetto non soltanto sul soggetto interessato, ma anche a quanti gravitano intorno a lei. In realtà la carta vincente del film sta nel fatto che l’autrice fa il possibile per evitare un processo di identificazione con Fiona e per spostarlo invece su Grant. Così la soggettiva non è riferita a chi parte, ma a chi resta. E tutto, sia esso il ricordo, la gelosia, l’occasionale rapporto con la moglie di un altro malato, la ribellione e l’accettazione, assume un significato ben preciso nel momento in cui viene inquadrato in quel non semplice procedimento conosciuto come “elaborazione del dolore”. In questo contesto, che si prestava a semplificazioni e sottolineature, Sarah Polley si muove con discrezione, a passi felpati, con una sorta di pudore che rende più vere e lancinanti le reazioni di chi guarda.
E’ evidente che per ottenere un risultato di eccellenza era indispensabile il contributo di un cast in stato di grazia. Qui abbiamo Gordon Pinsent, disorientato senza inganno nel ruolo di Grant, e una Julie Christie che, interpretando Fiona, raggiunge un risultato sbalorditivo, al punto da indurre a credere che la malattia sia parte di lei nella realtà. Con naturalezza, senza tecnicismi, lentamente e inesorabilmente, arriva a convincerci che non c’è niente di irrimediabile: neanche la morte, se rimane spazio per quel minimalismo che fa girare il mondo e che qualcuno chiama ancora amore.
LONTANO DA LEI (Away from Her) di Sarah Polley. Con Julie Christie, Gordon Pinsent, Michael Murphy, Olympia Dukakis. CANADA 2006; Drammatico; Colore