LO ZIO BOONMEE CHE SI RICORDA LE VITE PRECEDENTI

DI FRANCESCO MININNI

Cominciamo dal regista del film: è thailandese e si chiama Apichatpong Weerasethakul. Da qui in avanti, per ovvie ragioni di spazio, lo chiameremo «lui», «il regista» o «l’autore». E il fatto che sia thailandese solleva qualche problema, se cioè il suo film sia concepito e realizzato per tutti oppure se soltanto per spettatori che per mentalità e formazione siano in grado di capirlo. «Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti», palma d’oro all’ultimo festival di Cannes (è bene ricordarlo: con Tim Burton presidente della giuria), ripropone il lungo, annoso problema della fruibilità dell’opera d’arte. Da parte nostra, vi possiamo assicurare che, ragionamenti sullo stile a parte, siamo rimasti assolutamente al di fuori di un’opera che, se da una parte dà l’impressione di essere diretta a un pubblico di iniziati, dall’altra induce il sospetto di una compiaciuta enigmaticità per nascondere il nulla.

Lo zio Boonmee è convinto che il male di cui soffre ai reni sia dovuto all’aver ucciso troppi comunisti e troppi insetti. Vivendo in una sorta di eremitaggio nella sua casa in campagna, si trova anche a stretto contatto con nuovi e antichi fantasmi (la moglie e il figlio), con la materializzazione di leggende locali (la principessa e il pesce gatto) e con il ricordo costante delle precedenti esistenze che culminerà nella lunga esplorazione di una grotta uterina nella quale l’uomo afferma di essere nato la prima volta.

Inutile dilungarsi su una storia che, per precisa volontà dell’autore, si rivela ciclica e criptica, tale da trasmettere l’impressione di un ossessivo girovagare intorno a se stessa per approdare a una fine che, ovviamente, potrebbe essere un nuovo inizio. I sospetti maggiori di poesia e visionarietà artefatte, in realtà, nascono dallo stile del regista. Lui sembra convinto che allungare a dismisura i tempi del racconto (o del non racconto, se preferite) cospargendolo di elementi fiabeschi, visioni da incubo e di un immaginario che si insinua prepotentemente nel reale, corrisponda automaticamente a un’elevazione spirituale, a un approfondimento mistico, alla promessa mantenuta di un «altrove» che forse è la realtà in cui viviamo e forse è semplicemente un altrove dove esiste soltanto ciò che il regista vuole. Il che corrisponderebbe a una astuta mistificazione, con minore caratura dei finti simbolismi di Buñuel, da parte di un autore che potrebbe anche non aver la minima idea di ciò che sta raccontando e preferisca procedere per ellissi nella consapevolezza che comunque qualche testimone di grandezza sarà trovato e sarà anche disposto a stracciarsi le vesti pur di difendere il valore artistico dell’opera. Sia chiaro, non è nostra intenzione sparare a zero su «Lo zio Boonmee», anche perché siamo disposti ad ammettere la possibilità che l’autore abbia comunque qualcosa da dire e che noi non siamo stati abbastanza bravi o pronti a recepirlo. È un fatto, però, che il troppo enigmatico, quando non contenga in sé le radici della provocazione o dello sberleffo, può comunque nascondere un tranello che chiameremo culturale. Come dire che se uno non ha capito che la disarticolazione del racconto, la bizzarria delle apparizioni, il surrealismo che esplode nel finale sono ovviamente finalizzati all’esposizione di una poetica orientale non necessariamente accessibile al pubblico d’occidente, è ovviamente colpa sua e non dell’autore che, essendo poeta, ha diritto a tutte le licenze del mondo.

Estrapolando, salveremmo l’episodio anomalo della principessa e del pesce gatto perché, quello sì, appartiene a una tradizione orientale che, non foss’altro per conoscenze letterarie, almeno in piccola parte non ci è sconosciuta. E siamo disposti a considerare il fatto che, essendo stato il villaggio d’origine dell’autore distrutto dall’esercito thailandese come covo di ribelli, qualche elemento politico sia stato inserito in modo che le autorità non se ne accorgessero. Ma la palma d’oro? Lasciamo la responsabilità a Tim Burton che, in mezzo a fantasmi, apparizioni e fiabe, deve proprio essersi sentito a casa propria.

LO ZIO BOONMEE CHE SI RICORDA LE VITE PRECEDENTI (Loong Boonmee raleuk chat) di Apichatpong Weerasethakul. Con Sakda Kaewbuadee, Jenjira Pongpas, Thanapat Salsaymar. THAILANDIA/GB/F/D/E/NL 2010; Drammatico; Colore