L’ILLUSIONISTA

DI FRANCESCO MININNI

Forse non è giusto aspettarsi da «L’illusionista» di Sylvain Chomet quello che non può dare: lo stupore di Jacques Tati, la sua poesia, il suo sguardo preoccupato ma gentile sul peggioramento delle cose e quindi del mondo in cui viviamo. Ma, diciamo la verità, trovarsi di fronte alla realizzazione (sia pure in forma di animazione) di una sceneggiatura scritta da Tati tra il 1956 e il 1959, con Tati stesso protagonista (sia pure in forma di animazione) nel ruolo del prestigiatore, con una bambina la cui crescita fino all’incontro con il primo amore ripropone il personaggio della figlia della portiera in «Mio zio», rende estremamente difficile staccare da Tati per collegarsi esclusivamente a Chomet. E probabilmente non è neanche corretto tentare di farlo: è Chomet, non noi, ad evocare prepotentemente la silhouette di Ms. Hulot risvegliando fortissime bordate di nostalgia e il riattivarsi di un’ammirazione che non sarà mai abbastanza. Pertanto, se alla fine de «L’illusionista» rimarrà la sensazione di un lavoro accurato, rispettoso, dettagliato, appassionato ma, se poetico, di una poesia soltanto riflessa, non ci sarà niente di male a dire che di Tati ce n’è stato uno solo. E da lì si potrà ripartire per dare la giusta valutazione a un film che, comunque, mostra un gran lavoro tecnico e anche semplicemente manuale tale da elevarlo molto al di sopra della media soprattutto nel momento in cui l’animazione soffre di una generale omologazione dovuta allo strapotere del computer a discapito del lavoro artigianale. Il di più che ci si poteva aspettare, in realtà, non Chomet, ma soltanto Jacques Tati avrebbe potuto darcelo.

L’illusionista Tatischeff avverte l’abbassarsi dell’interesse del pubblico francese per i suoi giochi semplici e classici, dalle carte al coniglio nel cilindro. Così, per tentare nuovi scenari, parte per la Gran Bretagna e, quando anche Londra gli volta le spalle, finisce in Scozia. Qui incontrerà una ragazzina semplice ed entusiasta che, affascinata dalla sua abilità, lo seguirà fino ad Edimburgo. Mentre lei cresce finendo per incontrare il primo amore, lui si riduce a umili lavori per mantenere entrambi con l’indispensabile e lei con occasionali regali più costosi. Alla fine la giovane resterà con il suo amore e Tatischeff, ripresa la via di casa, le lascerà un messaggio scritto: «I maghi non esistono».

L’idea, perfettamente riconoscibile, di Tati è quella di un mondo in continua evoluzione che, perso dietro le mode e le novità effimere, dimentica la semplicità e l’amore del passato. Il tutto narrato però con affetto, non con nostalgia, nella consapevolezza che certe cose comunque non possono tornare e che è meglio ricordarle belle com’erano incorniciate in un quadretto del passato. Sylvain Chomet, premio Oscar per «Appuntamento a Belleville», è riuscito a ricreare un ambiente che a Tati sarebbe piaciuto: paesaggi campestri e soprattutto urbani nei quali, senza i tagli di montaggio molto ravvicinati del cinema d’animazione, accadono cose che la macchina da presa registra senza intervenire con prepotenza. I dettagli curatissimi, l’uso del colore, le pochissime parole pronunciate dai personaggi, tutto riporta a Hulot. L’impressione, però, è quella di un lavoro scrupolosamente filologico ma non esattamente poetico: la passione è più quella del rispettoso fan che dell’innamorato perso.

A restarci nel cuore, alla fine, sono i paesaggi di Edimburgo, l’aggressivo coniglio che rifiuta di entrare nel cilindro e, naturalmente, quella indimenticabile, caratterizzata silhouette che al pari di Charlot ha scritto pagine indimenticabili di amore, poesia e preoccupazione per un mondo sempre meno a misura d’uomo e sempre più avviato verso il raffreddamento globale dei rapporti umani.

A Sylvain Chomet va in ogni caso un sentito ringraziamento per un’operazione che a priori non aveva proprio niente di facile e che lui, rispettando lo scritto originale del maestro, è comunque riuscito a trasformare in un ritorno delicato e sensato. Chissà che a qualcuno non venga in mente di andarsi a vedere «Le vacanze di monsieur Hulot» o «Mio zio»: scoprirebbe un autentico maestro.

L’ILLUSIONISTA (L’illusionniste)di Sylvain Chomet. FRANCIA/GB 2010; Animazione; Colore