L’età giovane
Che siano la solitudine di Rosetta e Lorna, la coscienza di Igor, Bruno e Jenny, la rabbia di Olivier e Cyril, la depressione di Sandra, tutti i sentimenti che animano i loro protagonisti riconducono sempre alla mancanza d’amore individuale, sociale, politico, umano che talvolta può anche portare all’errata convinzione della sua assenza o della sua impossibilità. Il giovane Ahmed (che è anche il titolo originale de L’età giovane) è molto più convinto di dover essere un buon musulmano che di dover interagire con il prossimo, che non è soltanto i suoi confratelli ma anche tutti quelli che la vedono in modo diverso. E allora la ricerca d’amore diventa un sottofondo martellante ai doveri che Ahmed crede sue ineludibili priorità e che nessun ragionamento o confronto dialettico potrà mai scalfire.
Il tredicenne Ahmed, in Belgio, comincia a radicalizzarsi nell’estremismo islamico venerando un cugino martire dell’Islam e ascoltando gli insegnamenti dell’imam che, tra le altre cose, lo convince che la sua insegnante Ines (anch’ella islamica) è una apostata perché vorrebbe insegnare l’arabo servendosi delle canzoni invece che del Corano. Senza consigliarsi con nessuno, neanche con sua madre che considera un’ubriacona, Ahmed decide di ucciderla. Fallisce, è arrestato e inviato in un centro di rieducazione. Ma la sua radicalizzazione (che poi è una totale confusione mentale) gli impedisce qualsiasi passo indietro. Così scappa e va nuovamente a cercare Ines.
Chi conosce il cinema dei Dardenne sa benissimo che ogni apparente fatalismo, ogni tragedia annunciata, ogni strada senza uscita preludono sempre a una riproposta della speranza, come a dire che non esistono destini già scritti da cui non si possa in qualche modo affrancarsi. In realtà la soluzione de L’età giovane assomiglia molto a quella de Il ragazzo con la bicicletta. Là Cyril, dato per morto dopo essere stato colpito da una pietra e caduto da un albero, si risvegliava al suono del cellulare che annunciava la chiamata di Samantha. Qui Ahmed, caduto nel tentativo di arrampicarsi su un tetto e rimasto finalmente solo con se stesso, in stato di totale necessità e bisognoso di aiuto, prima chiama la mamma (che ovviamente non può sentirlo) come a voler riallacciare un rapporto smarrito, poi riesce a richiamare l’attenzione di Ines e, prima che lei chiami l’ambulanza, le chiede perdono.
Senza fanfare, senza violini (anzi, L’età giovane è nuovamente un film senza musica) e senza retorica, i Dardenne si confermano professionisti dei miracoli quotidiani che, a saperli vedere e ascoltare, cambiano la vita. Per altro, inserendo nei titoli di coda un ringraziamento al ministro per la gioventù e lo sport belga che si chiama Rachid Madrane, danno un segnale chiarissimo: il loro non è un film anti islamico a 360°, ma una riflessione sull’integralismo, sulla radicalizzazione e, più di tutto, sulla forza dell’amore che cambia il mondo.
Se c’è retorica la accettiamo volentieri nel momento in cui contribuisce a risolvere i problemi. Ma soprattutto prendiamo atto di un cinema fedele a se stesso, sempre scarno ed essenziale, attentissimo all’uso dei particolari (le abluzioni prima di pregare, il rispetto preciso dell’orario della preghiera, l’orrore per il contatto peccaminoso con una ragazza non islamica) che contribuiscono a definire un carattere e uno stato sociale. Anche quando è necessario un intervento in sceneggiatura per risolvere la situazione, lo si percepisce come una di quelle cose che accadono da un momento all’altro tante volte nella nostra esistenza, non come un deus ex machina che cade dall’alto come un effetto speciale.
Ringraziamoli questi fratelli belgi: per non scegliere mai argomenti facili, per non pontificare mai con supponenza, per la scelta di attori (qui Idir Ben Addi) il cui ultimo pensiero è la recitazione, ma soprattutto per rifiutarsi ostinatamente di perdere la speranza.
L’ETÀ GIOVANE (Le jeune Ahmed) di Luc e Jean-Pierre Dardenne. Con Idir Ben Addi, Olivier Bonnaud, Myriem Akheddiou, Claire Bodson. BELGIO 2019; Drammatico; Colore.