L’ESTATE DI MIO FRATELLO

DI FRANCESCO MININNI

Forse non è un film memorabile, «L’estate di mio fratello» di Pietro Reggiani. Girato nel 2004 con pochi soldi e scarsissime prospettive di distribuzione, girato con tutte le imperfezioni dovute all’entusiasmo dell’amatorialità abbinato alla pochezza dei mezzi, con un cast di attori adulti che per quanto ne sappiamo potrebbero anche essere semplicemente amici del regista, con un montaggio rallentato che rende a tratti interminabile un film di durata al di sotto della media, ha tuttavia qualcosa che lo fa rimanere nella memoria. Se non per motivi tecnici, che poi sarebbe ordinaria abilità, sicuramente per la capacità di mettere in campo un’idea che a lungo andare si rivela vincente. Pietro Reggiani ha tentato il difficile esperimento di una storia raccontata interamente passando per la testa e il cuore di un bambino, dove ciò che vediamo è ciò che lui vede, ciò che proviamo è ciò che lui prova. In un certo senso, una commistione tra realtà e fantasia: ma bisogna stare ben attenti a non confondere fantasia con immaginazione, perché sarebbe come dire che consideriamo la sensibilità di un bambino alla stregua di una favola della buonanotte.

Certo, fantasia Sergio ne ha. In un’estate di campagna nei primi anni Settanta simula lo sbarco sulla Luna servendosi di uno scaleo, si trasforma in San Lorenzo utilizzando la graticola del barbecue, immagina duelli western e altro ancora. Poi, però, i genitori gli fanno presente la possibilità dell’arrivo di un fratellino. E Sergio lo materializza seduta stante immaginando qualche pro e molti contro. Fino al giorno in cui, esasperato dai suoi «capricci», lo spinge sulla graticola. Il fatto che la notte seguente la madre abbia un aborto spontaneo, crea sensi di colpa e un sovrappiù di identificazione: il fratellino continua a manifestarsi…

E noi dobbiamo chiederci: tutto ciò che accade è dovuto all’mmaginazione o alla sensibilità di Sergio? Reggiani, nonostante un finale «cinque anni dopo» che è sicuramente accattivante ma tutt’altro che chiarificatore, propende per una sensibilità che vuol dire automaticamente amore per la vita. E lo fa senza mezzi termini, a rischio di sembrare elementare o peggio ancora facilone. Con quelle sue apparizioni che in effetti non danno affatto l’idea dell’eccezionalità, ma si inseriscono con naturalezza nel vissuto quotidiano, l’autore sembra molto interessato all’analisi dei processi mentali di un bambino, più degli adulti capace di percepire e cogliere i mutamenti «atmosferici». Lo aiutano in questo due bambini, Davide Veronese (Sergio) e Tommaso Ferro (il fratellino) capaci di vivere la vicenda senza la mediazione dell’interpretazione. Così, mettendosi dalla parte dei più deboli, Reggiani ottiene un risultato sicuro: un’originalità, una capacità introspettiva e suggestiva, una semplicità che da sole basterebbero a fare de «L’estate di mio fratello» un’opera da divulgare e sostenere. Quando invece, per evidenti ragioni di mercato, la SelfCinema è stata costretta a un’autodistribuzione che lo relegherà nella nicchia degli invisibili.

L’ESTATE DI MIO FRATELLO di Pietro Reggiani. Con Davide Veronese, Tommaso Ferro, Maria Paiato, Pietro Bontempo. ITALIA 2007; Drammatico; Colore