LEONI PER AGNELLI

DI FRANCESCO MININNI

Durante la Grande Guerra gli inglesi, rendendo onore al coraggio dei tedeschi, dichiararono di non aver mai visto soldati del genere, che combattevano come leoni pur essendo guidati da agnelli. L’aneddoto arriva buon ultimo a ribadire il concetto della distanza che può separare i combattenti dalle gerarchie, sia militari che politiche. E Robert Redford, incrollabile democratico, testa pensante e americano pieno di dubbi, lo fa suo per incorniciare un film, «Leoni per agnelli», che, pur raccontando cose elementari e apparentemente scontate, si ritaglia uno spazio ben preciso in un panorama di confusione e ambiguità che, foss’anche dalle cose scontate, reclama un gran bisogno di chiarezza.

Il film, scritto da Matthew Carnahan, è intelligentemente costruito su tre fronti accuratamente alternati che convergono a comporre un preciso quadro d’insieme. Da una parte l’incontro riservato tra la giornalista televisiva Janine Roth e il senatore Jasper Irving, lei veterana di tante battaglie democratiche, lui repubblicano in odore di candidatura alla Presidenza. Dall’altra l’incontro informale tra il professor Malley e il suo alunno Todd, che sembra aver perso interesse allo studio. Nel mezzo due volontari in guerra, Ernest e Arian, già studenti di Malley e ora destinati a una morte nella neve su un altopiano dell’Afghanistan.

È evidente che il film, più che su un piano spettacolare convenzionale, gioca le sue carte su un serrato confronto dialettico tra generazioni. L’esperienza di Janine le suggerisce che il senatore Irving, offrendole uno scoop esclusivo, la stia invitando a farsi portavoce dell’ennesima pubblica menzogna che in sostanza dovrebbe aprirgli la strada alla Casa Bianca. L’idealismo di Malley non concepisce che un potenziale come quello di Todd possa essere sprecato nell’apatia e nel qualunquismo. D’altronde, l’intelligenza di Todd potrebbe anche portarlo alla scelta giusta. Che, sia chiaro, potrebbe essere un ruolo essenziale nel futuro del paese, ma anche un altro Irving che si vende al demone del successo. In tutto questo, il ruolo di Ernest e Arian diventa purtroppo retorico e strumentale. Diverso sarebbe stato il discorso se dei due giovani si fosse soltanto parlato: ma la necessità di mostrarli in azione rende la parte teoricamente più dura del film quella più prevedibile e di minore intensità. Ciò che rende «Leoni per agnelli» importante non è neanche la rappresentazione di un senatore che maschera con il sorriso un arrivismo quasi criminale: ce ne sono stati già troppi, anche se questa volta a interpretarlo è un inedito Tom Cruise. Il nocciolo del film sta tutto nell’intenso dialogo tra Malley e Todd, dal quale si ricava un ragionamento talmente semplice da stupirsi che non sia continuamente riproposto da giornali e televisioni. Malley ha tentato con tutte le forze di dissuadere Ernest e Arian dal partire volontari per la guerra, ma contemporaneamente ha rispettato le loro motivazioni e la loro scelta. Adesso, cercando di stimolare Todd allo studio (quindi al futuro), gli propone un’alternativa democratica. Il suo rispetto va in ugual misura a chi sceglie di morire in guerra e a chi sceglie di combattere in patria: quindi il suo rispetto va a idee e motivazioni, indipendentemente dallo scenario in cui andranno a sfociare. E questa è democrazia, esercizio della libertà, intelligenza al di sopra dei fatti. Sono passati quasi quarant’anni da quando Robert Redford si affacciò in politica, ne «Il candidato» di Michael Ritchie, dove accettava la candidatura senza sapere dove andare. Tanto che, una volta eletto, guardava il suo braccio destro e mormorava: «E adesso che facciamo?». La stessa battuta pronunciata dal senatore Irving a Janine, ma nel momento in cui lui ha già deciso cosa fare. E non è detto che sia progresso.

LEONI PER AGNELLI (Lions for Lambs) di Robert Redford. Con Meryl Streep, Tom Cruise, Robert Redford, Andrew Garfield. USA 2007; Drammatico; Colore