LE VITE DEGLI ALTRI
DI FRANCESCO MININNI
E’ probabilmente vero che nessuno apprezza la libertà meglio di chi per un breve o lungo periodo ne sia stato privato senza giusti motivi. Ed è anche vero, d’altronde, che non è mai facile esporre dal di dentro le ragioni ed i perché dei fatti (vedi «La caduta» di Hirschbiegel) quando questi riguardano un periodo nero della storia patria. Giunge tanto più inaspettato e da accogliere con favore, perciò, «Le vite degli altri», che è un’opera prima, ha riscosso ovunque consensi e adesioni e ha vinto addirittura il premio Oscar per il miglior film in lingua straniera. L’autore, che oltre a dirigerlo ne ha anche scritto la sceneggiatura, è Florian Henckel von Donnersmarck: di lui possiamo dire soltanto che, accostandosi alla storia degli anni bui della Germania dell’Est (la DDR) e allo strapotere della polizia politica denominata Stasi, ha saputo coniugare quasi da maestro la verità storica e il melodramma, riuscendo soprattutto a non schematizzare e continuando fino in fondo a raccontare vicende di esseri umani. Così «Le vite degli altri» acquista potenza e spessore drammatico che, invece di deviare dall’asse storico della verità, contribuiscono a rendere il tutto non solo autentico, ma pienamente fruibile dal grande pubblico.
Non giova (soprattutto a chi non ha ancora visto il film) addentrarsi nella vicenda. Basti sapere che i due elementi del contendere sono il commediografo Dreyman e il funzionario Wiesler. Il primo, fedele alla linea del partito, suscita sospetti perché si pensa che un intellettuale come lui debba per forza avere qualcosa da nascondere. Il secondo, che lo spia con i microfoni ventiquattr’ore su ventiquattro, finisce per entrare in una sorta di sintonia con lui, scoprendo che in fondo gli ideali sono gli stessi e che pertanto il potere vive di letali contraddizioni. Entrambi, quando saranno chiamati a scegliere, non avranno dubbi. Li ritroveremo dopo la caduta del muro di Berlino: uno scrittore di successo, l’altro postino, ma con qualcosa in comune che forse loro soltanto sanno e che basta a dare la forza di non mollare.
Il bello de «Le vite degli altri» è l’idea della continuità di una storia fatta di persone più che di avvenimenti. Si capisce bene quale possa essere l’aspettativa di vita in un regime che entra nelle case, negli angoli segreti, nella testa della gente. Ma si capisce anche, nel caso in cui il potere agisca come un virus, l’importanza degli anticorpi: chi pensa liberamente, chi fa qualcosa, chi dice no. Senza aspettarsi niente in cambio, ma soltanto perché diversamente potrebbe essere problematico continuare a guardarsi allo specchio. Von Donnersmarck ha capito che tutto questo può essere raccontato come un thriller senza che la forza dell’assunto diminuisca di una virgola. Così, mentre la nostra attenzione non viene meno a causa della solidità del dramma e dello spessore dei personaggi, ci si rende conto che «Le vite degli altri», meravigliosamente interpretato da Ulrich Muhe (Wiesler), è una lezione di storia in forma di dramma poliziesco.
LE VITE DEGLI ALTRI (Das Leben der Anderen) di Florian Henckel von Donnersmarck. Con Sebastian Koch, Ulrich Muhe, Martina Gedeck, Ulrich Tukur. GERMANIA 2006; Drammatico; Colore