Las Acacias

Il suo film, distribuito due anni dopo la realizzazione in versione originale con sottotitoli e in circuiti di nicchia, è una finestra aperta sulla speranza. Ma non basta: per raccontare la sua storia, che in fin dei conti storia non è, l’autore ha scelto una delle armi più devastanti a disposizione dei narratori, la semplicità. E così facendo ha ottenuto un film semplicemente bello. Premiato a Cannes nel 2011 con la Camera d’Or, ovverosia il premio alla migliore opera prima, «Las acacias» racconta con sensibilità, acume e assoluta naturalezza la storia di due solitudini che, a dispetto delle tristezze del mondo, finiscono per convergere lasciando spazio a un domani comune che potrebbe alleviare tanti problemi.Ruben, camionista solitario, deve trasportare un carico di legname (legno di acacia, naturalmente) dal Paraguay a Buenos Aires. Il suo datore di lavoro, Fernando, gli assegna un compito supplementare: dare un passaggio a Jacinta che, con la figlia di cinque mesi Anahi, deve raggiungere l’Argentina dove la sorella le troverà un lavoro. Il viaggio, inizialmente silenzioso e con Ruben visibilmente contrariato dall’imprevista compagnia, si trasforma pian piano in un percorso di solidarietà e confidenza che porterà l’uomo ad aprirsi (dopo chissà quanto tempo di solitudine) e a prendere atto dell’esistenza di un prossimo con il quale relazionarsi e interagire. Alla fine la proposta di un nuovo incontro per andare in una località «dai bei paesaggi».

Considerando che «Las acacias» è ambientato prevalentemente all’interno della cabina di guida del camion, è evidente che Giorgelli ha scommesso tutto sui volti dei suoi personaggi, sul sapientissimo gioco di campi e controcampi, su una macchina da presa che aveva il compito principale di penetrare la corazza di Ruben e Jacinta per rendere credibile un cambiamento che diversamente sarebbe stato un semplice espediente da melodramma. Nel film, invece, non c’è proprio niente di forzato, artefatto o manierato. C’è (cosa tutt’altro che semplice da realizzare) una verità che a dirla potrebbe sembrare scontata: anche gli ultimi, quelli che subiscono più di altri le intemperie della vita, hanno la possibilità di rialzare la testa e, senza proclami né violenze né violini, ritagliarsi un proprio spazio nel quale vivere.

Da questo ragionamento si potrebbe dedurre che la partita si giochi tra Ruben e Jacinta con l’esclusione del resto del mondo. Ma non è così. L’elemento fondamentale in «Las acacias» è la presenza silenziosa e gigantesca di Anahi, una piccola di cinque mesi che con i suoi sguardi e i suoi sorrisi fa breccia nel cuore di Ruben e lo porta a ricollegarsi con un’esistenza più umana e condivisa. L’attrice (se così possiamo chiamarla) si chiama Nayra Calle Mamani e va ben oltre lo Stajola di «Ladri di biciclette» o Aida Mohammadkhani de «Il palloncino bianco».

Avendo cinque mesi, è altamente improbabile che sia stata diretta. Quindi ha un talento naturale che la porta a sorridere, a imbronciare e (soprattutto) a sbadigliare nei momenti giusti, che Giorgelli ha avuto l’accortezza di saper riprendere. Tra Ruben e Jacinta nasce qualcosa che è lasciato alla nostra sensibilità e (in parte) immaginazione. Ma senza Anahi pensiamo proprio che fine del film, fine del viaggio e fine della conoscenza sarebbero state una certezza. Anahi è il modo scelto da Pablo Giorgelli per dire al mondo che muore troppo presto chi sceglie di vivere per se stesso senza l’orizzonte dell’altro.LAS ACACIAS (Id.) di Pablo Giorgelli. Con Germán de Silva, Nayra Calle Mamani, Hebe Duarte. ARGENTINA/SPAGNA 2011; Drammatico; Colore