L’albero dei frutti selvatici

Non si può certo dire che il regista turco Nuri Bilge Ceylan non conosca l’importanza del tempo. Che non è, ovviamente, quello meteorologico ma proprio quello della vita (e del cinema) secondo lui necessario perché una riflessione, un ragionamento, una convergenza, un incontro prendano forma e possano essere presentati e compresi al momento giusto. I suoi ultimi tre film hanno durate significative: C’era una volta in Anatolia 150’, Il regno d’inverno 196’, L’albero dei frutti selvatici 188’.

Teniamo a precisare che non si tratta sicuramente di un vezzo o una mania: Ceylan è veramente convinto che analizzare la storia del proprio paese, studiandone l’evoluzione o l’involuzione, non sia argomento da poter sintetizzare a beneficio della scarsa pazienza del pubblico (o della critica, naturalmente). Così i suoi film procedono con inquadrature molto lunghe, quindi con pochissimi tagli, con un certo numero di piani sequenza, con lunghi momenti di silenzio e altrettanto lunghe scene dialogate, in modo che ciò che Ceylan vede al termine della corsa non cada come un deus ex machina in veste di colpo di scena, ma arrivi quando deve, quando siano state ascoltate le ragioni di tutti e soprattutto quando il protagonista (o uno dei protagonisti) sia in grado di capirlo e di accettare che faccia parte della propria esistenza. Bisogna dargli atto di una rocciosa coerenza, di un rigore di rappresentazione e di una grande capacità analitica. Se poi ci lamenteremo di qualche minuto in più, siamo certi che lui capirà e proseguirà per la propria strada.

Sinan torna al villaggio con una laurea in tasca, un libro autobiografico pronto per la pubblicazione, la volontà di accedere all’insegnamento (come suo padre Idris) e tanti conti da regolare con il passato. A frenarlo è soprattutto l’ambito familiare e l’immagine che ha del padre, visto come un buono a nulla dedito alle scommesse sui cavalli e, tutt’al più, testardo nella volontà di scavare un pozzo sul terreno del nonno per rendere verde tutta la vallata. Tra incontri e scontri con lui e con altri personaggi (la madre, l’imam, uno scrittore affermato, una vecchia fiamma, un costruttore) Sinan riesce finalmente a far stampare il libro, che nessuno comprerà. Assolti gli obblighi militari, tornerà al villaggio per scoprire come le sue posizioni non siano in fondo troppo dissimili da quelle del padre e come la sua figura meriti più rispetto e devozione di quanto l’apparenza suggerisse. Così a scavare il pozzo saranno in due.

Ceylan potrebbe anche svicolare su strade poetiche (come il titolo suggerirebbe, facendo riferimento al titolo del libro di Sinan), ma sa benissimo che sarebbe una deviazione inutile dall’asse principale. Quel che a lui interessa è riflettere sulla Turchia, su quanto l’attaccamento al passato possa rappresentare un ostacolo per accedere al futuro, sui difficili rapporti generazionali tra chi ha vissuto e chi crede di sapere di tutto e di più, sulla necessità di un cambiamento senza per forza deviare dall’asse tracciato dagli avi, sulla mancanza di gioia. Tutto questo inquadrato con precisione e dettagli sulla natura, sullo scorrere delle stagioni, ovverosia sul tempo che passa senza che nessuno faccia niente. I suoi piani lunghissimi servono proprio a far misurare lo scorrere del tempo senza sconti e senza sintesi: solo così sarà possibile avere un’idea più precisa di un paese che non conosciamo se non per notizie della sera o detti popolari.

L’albero dei frutti selvatici è indubbiamente un gran film che richiede partecipazione, pazienza e disposizione alla vista e all’ascolto. Se togliessimo due ore tra il ritorno di Sinan al villaggio e la sua decisione di continuare a scavare il pozzo, di certo non capiremmo nulla. È quindi un bene che ci siano autori così, che non danno niente per scontato e, a costo di precludersi una fetta di mercato, danno la giusta importanza al tempo, al pensiero, all’analisi (che è anche autoanalisi) e alla volontà di capire. Se la memoria non c’inganna, lo faceva anche Tarkovskij.

L’ALBERO DEI FRUTTI SELVATICI (Ahlat Agaci) di Nuri Bilge Ceylan. Con Dogu Demirkol, Murat Cemcir, Asena Keskinci, Serkan Keskin. TR/MK/BIH/BG/S/F/D 2018; Drammatico; Colore.