«LA VITA CHE VORREI»

DI FRANCESCO MININNIQuando un regista decide di fare un film sul cinema, rischia sempre grosso. Un po’ perché sono già in molti ad esservisi cimentati e il rischio della ripetizione è forte, un po’ perché l’argomento presta il fianco a tutte le critiche possibili e immaginabili a partire dalla visione che del cinema (cioè del suo mondo) quel regista dà mostra di avere. Giuseppe Piccioni, uno degli autori più interessanti del cinema italiano, ne è perfettamente consapevole. Infatti «La vita che vorrei» non è un film sul cinema: è un film su alcuni esseri umani che lavorano nel cinema.

Non è a «Effetto notte» di Truffaut che bisogna guardare per cercare un termine di paragone, ma casomai a «La donna del tenente francese» di Karel Reisz, dove le vicende del film nel film (una storia in costume, proprio come quella di Piccioni) si riproponevano nella vita quotidiana dei due protagonisti. Stefano, l’attore protagonista, sembra un freddo, un calcolatore, uno che non si lascia mai coinvolgere dai sentimenti veri.

Laura, l’attrice protagonista, è invece una trentenne che ancora non ha trovato un posto nella vita proprio perché si è sempre lasciata guidare dai sentimenti invece che dal ragionamento. E mentre il film prende forma, Stefano e Laura avviano una relazione che, stranamente, sembra risentire delle atmosfere che via via caratterizzano la storia narrata. Il problema è che Stefano resta un attore, nel senso che sembra affrontare un provino anche quando parla d’amore. E Laura, che aspetta un figlio da lui, se ne va senza dirglielo.

La domanda principale che Piccioni si pone è: può un attore, così bravo a calarsi nei panni di un altro, calarsi nei propri con altrettanta naturalezza? Non è una questione da poco, a meno che non diamo per scontato il fatto che un attore possa rappresentare tutta la categoria invece che soltanto se stesso. In questo senso il rapporto tra Luigi Lo Cascio e Sandra Ceccarelli può riportare alla memoria alcuni aspetti di quello tra Robert De Niro e Liza Minnelli in «New York New York» di Martin Scorsese: un amore immolato sull’altare dell’egocentrismo.

Il problema, nel caso di Piccioni, è che la storia di Stefano e Laura, pur procedendo sul doppio binario della realtà e della finzione, non sembra sfruttare appieno la complessità delle situazioni, finendo per apparire sin troppo semplificata, quasi lineare. Così, mentre si continua ad apprezzare la volontà di rinnovamento di un autore che cerca sempre nuove tipologie per le sue piccole (o grandi) storie quotidiane, non si può fare a meno di concludere ponendosi la fatidica domanda: tutto qui?

Da lodare senza riserve l’interpretazione di Sandra Ceccarelli e, in secondo piano, di Galatea Ranzi. Luigi Lo Cascio avrebbe forse bisogno di qualche ruolo meno tormentato e problematico per una vacanza rigeneratrice. E Giuseppe Piccioni, che ha il gran pregio di voler sempre coinvolgere il pubblico lasciando che ognuno dia alla vicenda la conclusione che preferisce, deve soltanto ritrovare il coraggio di «Fuori dal mondo» e la ricchezza psicologica di «Luce dei miei occhi».

LA VITA CHE VORREI di Giuseppe Piccioni. Con Luigi Lo Cascio, Sandra Ceccarelli, Galatea Ranzi, Roberto Citran.