LA TERZA MADRE

DI FRANCESCO MININNI

Il dato anagrafico è scontato: Dario Argento invecchia. Lo è anche quello socio-culturale: le cose sono cambiate (e non di poco) da trent’anni a questa parte. Forse lo è anche quello cinematografico: al di là del progredire delle tecniche e degli effetti speciali, è cambiata l’idea dell’horror da atmosfere e ambiguità a eccesso di esibizione. Mettendo insieme queste tre realtà, si ottiene un risultato da interpretare. In un certo senso l’invecchiamento di Argento e il mutamento della realtà sociale dovrebbero corrispondere a un cambiamento anche interiore. Del quale, però, il folletto dell’horror sembra non rendersi conto, pretendendo di continuare imperterrito a fare le stesse cose di prima. Che, in virtù dei suddetti cambiamenti, risultano molto diverse dai film di una volta e forse persino lontane dalle reali intenzioni dell’autore. Se tutto questo poteva essere meno eclatante e palese in film come «Nonhosonno» e «Il cartaio», diventa incontrovertibile ne «La terza madre».

Nel quale Sara, restauratrice e archeologa, ha la pessima idea di aprire l’urna che contiene il kit per l’evocazione di Mater Lacrimarum, ultima sopravvissuta della triade, scatenando un sabba infernale che trasforma Roma in un campo di battaglia. Vi convergono streghe da ogni parte del mondo per aprire il vaso di Pandora dei sospiri, delle lacrime e delle tenebre. Se esorcisti e alchimisti si rivelano incapaci di porre rimedio, come potrà Sara (pur aiutata dallo spirito della madre e dai suoi poteri esoterici) opporsi a tanto male?

Pensare, a trent’anni di distanza da «Suspiria» e a ventisette da «Inferno», di concludere la cosiddetta trilogia alchemica in questo modo, non fa altro che confermare come la trilogia fosse tale soltanto a posteriori (senza un progetto iniziale) e come Argento, con tutta la buona volontà, sia essenzialmente un istintivo che non gradisce troppi ragionamenti. Ma è anche sbadato: quando afferma che Mater Suspiriorum e Mater Tenebrarum sono morte, forse dimentica che proprio in «Inferno» le aveva identificate con la Morte. Può dunque la Morte morire? Quando fa dire a un personaggio che Mater Suspiriorum fu uccisa dall’americana Susy Bannion, sbaglia il nome: era Susy Banner. E quando, abbandonando le radici atemporali della trilogia, si misura con il presente mostrando violenza nelle strade, streghe punk che ghignano ad ogni angolo e indemoniati ululanti nel cortile dell’esorcista, viene a perdere il lato migliore del suo cinema: da una parte la paura individuale e solitaria, dall’altra la capacità di creare architetture inconsce e atmosfere sospese che facevano perdonare le mille e una falle logiche dei suoi racconti. Se in «Suspiria» e «Inferno» era un dettagliante di paure, qui diventa un grossista di orrori in un supermarket zeppo di offerte speciali e tre per due. La stessa Mater Lacrimarum, in contrasto con la sagoma rantolante di Elena Markos e la cupa stilizzazione di Mater Tenebrarum, sembra più una velina o una cubista che un’entità ancestrale. E Argento si aggira tra i resti del suo cinema sovrabbondante di effetti e mancante non solo di reale motivazione, ma anche di una macchina da presa che con le sue evoluzioni possa almeno evocare il passato. Su tutto, una sola cosa merita di essere consegnata alla memoria: la risata liberatoria di Asia Argento e Cristian Solimeno all’uscita dal sotterraneo. Come dire: era tutto qui?

LA TERZA MADRE di Dario Argento. Con Asia Argento, Cristian Solimeno, Moran Atias, Udo Kier, Philippe Leroy. ITALIA 2007; Horror; Colore