«LA STORIA DEL CAMMELLO CHE PIANGE»

DI FRANCESCO MININNIOggi tutti parlano di rapporto corrotto tra uomo e natura, di solidarietà a tutti i livelli, di necessità di equilibri per riscoprire la vera dimensione delle cose, di crollo di valori, di tanti eccetera che riempiono libri di testo, analisi sociologiche e talk-show di prima e seconda serata. Ebbene, c’è un piccolo film di un regista fiorentino che, avendo qualcosa da dire in proposito, rischia di chiudere la bocca a tutti indicando una via diretta e semplice.

Realizzato in Mongolia, in tre mesi nei quali la temperatura è arrivata frequentemente a 20 sotto zero, «La storia del cammello che piange» ha una peculiarità: niente di ciò che accade è stato ricostruito dagli autori, Falorni e Davaa, che si sono limitati a servirsi di ciò che la natura ha offerto. Pertanto anche il fatto che il cucciolo di cammello sia bianco non deve far pensare a chissà quali simbolismi o a una metafora del razzismo: se fosse nato nero o marrone, sarebbe stato nero o marrone.

C’è una sola grande metafora nel film e riguarda il rapporto dell’uomo con la natura. In Mongolia, dove evidentemente ritmi e rapporti di forza sono molto diversi dai nostri, la gente fa il possibile per vivere in armonia con l’ambiente. Non solo: se si presenta qualche circostanza che esula dal corso naturale delle cose, l’uomo interviene e cerca di ristabilire l’ordine usando la musica, la magia, il rituale. È ciò che avviene quando la cammella, dopo un parto molto difficile e doloroso, non accetta il cucciolo e gli impedisce di nutrirsi rifiutando di allattarlo. Per gli indigeni il fatto è molto grave, per il solo fatto di andare contro l’ordine naturale delle cose. E i mongoli, che hanno ben chiara l’importanza della natura, mettono in atto un rituale che, attraverso musica e canto, deve arrivare a far piangere la cammella. Quando questo accade, la madre sarà pronta ad accogliere il figlio e a dargli il necessario per vivere e crescere.

Falorni e Davaa, registrando avvenimenti che in sé non hanno niente di eccezionale, hanno colto l’essenza della vita. Di più: ci hanno mostrato cosa siano solidarietà, slancio verso gli altri, collaborazione, voglia di andare avanti e, non ultimo, gli sforzi che l’uomo può fare per mantenere o ristabilire gli equilibri naturali. È per questo che alla fine, quando la cammella accoglie il piccolo e lo spinge a nutrirsi, si avverte in filigrana un’immagine della natività. «La storia del cammello che piange» ha molto da dare. In cambio chiede soltanto attenzione, adeguamento a ritmi di vita molto diversi dai nostri, voglia di imparare o anche soltanto di riscoprire qualcosa che è già dentro di noi. «La storia del cammello che piange» non è una favola: è vita quotidiana.

LA STORIA DEL CAMMELLO CHE PIANGE (The Story of the Weeping Camel) di Luigi Falorni e Byambasuren Davaa. ITALIA 2004; Documentario; Colore