La stoffa dei sogni
«Noi siamo fatti della stessa materia dei sogni e nello spazio e nel tempo di un sogno è racchiusa la nostra breve vita». Così scriveva William Shakespeare ne «La tempesta» e così riporta fedelmente Gianfranco Cabiddu ne «La stoffa dei sogni».
Il suo piccolo film è un omaggio affettuoso, appassionato e appassionante a due dei grandi drammaturghi del teatro mondiale che, diremmo inevitabilmente, almeno una volta incrociarono i loro percorsi. Nel 1983, infatti, l’ormai ottantenne Eduardo De Filippo dette alle stampe una traduzione de «La tempesta» in napoletano del Seicento, coronando così il sogno di misurarsi direttamente con il bardo di Stratford. Prima, nel 1964, aveva scritto una commedia dal titolo «L’arte della commedia» nella quale una compagnia di giro guidata da Oreste Campese metteva in crisi il prefetto De Caro portandolo a chiedersi se i personaggi da lui ricevuti fossero un medico condotto, un parroco, una maestra e un farmacista oppure attori impegnati a interpretarli.
Servendosi di entrambi i testi, Cabiddu ha realizzato un film originale e intelligente nel quale, più che alla storia in quanto incrocio di forze dell’ordine, attori e camorristi, bisogna prestare attenzione alle continue interferenze del teatro nella vita e, alla base, al grande rispetto per i grandi scelti come numi tutelari.
Una tempesta provoca l’affondamento di una barca che portava quattro camorristi condannati e pronti alla detenzione, due guardie e i quattro elementi della compagnia di giro di Oreste Campese. All’Asinara il direttore del carcere, De Caro, sospetta che non tutti siano chi dicono di essere e incarica Campese di mettere in scena una commedia. Superando prevedibili ostacoli, il capocomico fa il proprio lavoro trovando piena collaborazione nel boss, don Vincenzo, che pone come unica condizione un linguaggio accessibile a tutti che permetta anche ai suoi uomini di calarsi nella parte. E Campese riscrive «La tempesta» in napoletano.
L’interazione tra teatro e vita è tale che, data per scontata la passione e la dedizione di Campese, anche i camorristi si appassionano al testo, così come i detenuti prestati dal direttore, le guardie e persino il pastore Antioco, che praticamente ha sempre vissuto da solo. Così la magia del testo (e anche qualche aggiustamento in sceneggiatura) permettono a don Vincenzo di ritrovare il figlio che credeva morto nel naufragio, a Campese di chiarire la propria posizione e riprendere la via del mare con la nave postale, al direttore di credersi Prospero e di evocare una tempesta con un colpo di bacchetta magica (ma questa è immaginazione…) e a sua figlia Miranda (omonima della figlia di Prospero) di lasciare l’isola nascosta nel baule dei teatranti insieme al figlio del boss di cui si è innamorata.
Secondo Cabiddu (autore di documentari tra cui «Faber in Sardegna» e di due film molto apprezzati, «Disamistade» e «Il figlio di Bakunin») il teatro è vita e, a saperlo leggere, permette di accostare Shakespeare a De Filippo anche al di là della circostanza del testo tradotto. Sia Shakespeare che Eduardo, infatti, avevano una straordinaria capacità introspettiva a riguardo dell’essere umano e soprattutto erano capaci di tradurla in testi teatrali universali che, nel dramma e nella commedia, mostravano uguale maestria e profondità.
Sorvolando su qualche facilitazione di percorso nella sceneggiatura, ci rimane un film davvero coinvolgente e appassionato che trae maggior forza da tre protagonisti praticamente perfetti: Sergio Rubini, un Campese ricco di dignità e paure, Ennio Fantastichini, un De Caro che vorrebbe il controllo ma deve cedere ai sentimenti (e agli elementi) e Renato Carpentieri, un boss pacato e per questo ancora più minaccioso ma ciò nondimeno dotato di una particolare saggezza popolare. «La stoffa dei sogni» non sarà il film di Natale, ma è davvero un bel regalo.