«LA STELLA CHE NON C’È»

DI FRANCESCO MININNIGiustizia, onestà, solidarietà, pazienza. Questo, secondo Liu Hua, il significato delle quattro piccole stelle sulla bandiera della Cina. La stella che non c’è, secondo Gianni Amelio, la deciderà ogni spettatore nel profondo del proprio cuore. Anche se, così a caldo, sembra proprio impossibile fare a meno di «amore».

Il romanzo di Ermanno Rea «La dismissione», da cui Amelio ha liberamente tratto «La stella che non c’è», racconta di una delegazione cinese che arriva in Italia per acquistare un altoforno in seguito alla chiusura di una fabbrica. Il «liberamente» significa che, da questo spunto di partenza, Amelio ha lavorato alla costruzione di un’altra storia. Vincenzo Buonavolontà (Bonocore nel romanzo) è un manutentore che sa che in quell’altoforno c’è una centralina difettosa e che questo potrebbe rappresentare un pericolo per chi ci lavora. Individuato il difetto, Vincenzo lo corregge e, con la centralina in borsa, parte per la Cina alla ricerca dell’altoforno. Conoscerà una realtà diversissima da quella italiana, capirà quanto possa essere grande il mondo, incontrerà l’interprete Liu Hua che accetterà di fargli da guida, vedrà luoghi e persone diversi, ma sarà costantemente sorretto da quel pezzo componibile che porta con sé. Qualcosa di non richiesto che lui vuole portare a destinazione: in sostanza una ragione di vita.

Potremmo lungamente soffermarci su alcuni dettagli, che nei film di Amelio hanno talvolta pari o addirittura maggiore importanza rispetto al filo conduttore. Ma soffermarsi a indagare se tra Vincenzo e Liu Hua possa nascere una storia d’amore, o se sia davvero importante la scoperta della Cina da un punto di vista etnologico, sociale e politico, o se sia realmente fondamentale la tematica del lavoro nella sua attuale precarietà, ci farebbe perdere di vista quel «tocco» che ha sempre contraddistinto i lavori migliori di Gianni Amelio. Che, di solito, si concretizza nella particolare attenzione per le ragioni del cuore della gente comune. Così era il carabiniere de «Il ladro di bambini», così il giudice popolare di «Porte aperte», così il vecchio italiano (quasi apolide) de «Lamerica», così Charlotte Rampling ne «Le chiavi di casa». E così è Vincenzo Buonavolontà ne «La stella che non c’è». Un uomo comune, che crede molto nel proprio lavoro e che è disposto a un viaggio al buio per dare un senso alla propria vita. Questo azzera d’un colpo globalizzazione, consumismo, livellamento culturale: Vincenzo, per il semplice fatto di credere in qualcosa al di là della logica elementare, assume la statura di un eroe, che non saprà mai a cosa sarà destinata quella centralina che è finalmente riuscito a consegnare e che proprio per questo avrà raggiunto una sorta di attonita felicità. Poi, può anche darsi che alla fine dell’arcobaleno ci sia Liu Hua ad attenderlo: ma non ci interessa più.

Amelio non raggiunge forse l’omogeneità dei suoi film più belli (quindi de «Il ladro di bambini»), ma riesce a non far mai calare la tensione interiore, che poi è quella di Vincenzo. A lui Sergio Castellitto dà corpo ed anima applicando al meglio la sua arma migliore: interpretare senza recitare. E «La stella che non c’è», storia di una rincorsa che, una volta arrivata in fondo, prevede tutt’al più un veloce pit stop prima di ricominciare, ci fa tornare a casa con la precisa impressione di non aver perso neanche un secondo del nostro tempo.

LA STELLA CHE NON C’È di Gianni Amelio. Con Sergio Castellitto, Tai Ling, Hiu Sun Ha. ITALIA 2006; Drammatico; Colore