La spia
Quindi non storie di spionaggio tutte azione e spettacolari colpi di scena, ma indagini psicologiche, sociali, persino antropologiche, dove il colpo di scena è probabilmente prevedibile e serve comunque a ribadire che il margine di successo equivaleva a zero. La premessa è utile per un film, «La spia», che aggiunge poco alla casistica cinematografica del genere ma merita comunque di essere ricordata per l’interpretazione di Philip Seymour Hoffman, un talento naturale notevolissimo che se n’è andato troppo presto.
Ad Amburgo l’arrivo di Yssa Karpov mette in allarme polizia, servizi segreti tedeschi e americani, alte sfere a tutti i livelli. Karpov è un russo/ceceno convertito all’Islam e tanto basta per evocare i fantasmi dell’11 settembre. Così, mentre polizia e servizi segreti «ufficiali» puntano ad arrestarlo il prima possibile per scongiurare il rischio di attentati o quant’altro, Günther Bachmann, allontanato dai piani alti dopo l’11 settembre, indaga più a fondo. Pensa infatti che Yssa sia un poveraccio tramite il quale si potrebbe arrivare a qualcuno più importante e pericoloso. E pensa bene: Yssa è un idealista che è venuto ad Amburgo per ricevere l’eredità del padre ma che, consapevole delle azioni paterne, è seriamente intenzionato a rifiutare il denaro. Oppure, come Bachmann preferirebbe, a destinarlo a qualche consistente opera di beneficenza per intervento diretto di Faisal Abdullah, un’autorità islamica in Germania. Da qui parole, promesse, richieste di tempo, necessità di fidarsi di qualcuno inaffidabile. Praticamente, l’ennesima sconfitta in nome di un volere superiore.
Non costruito esattamente come un thriller, «La spia» soffre di una certa indecisione di percorso. Un po’ spy story, un po’ dramma psicologico, un po’ tiro al bersaglio sulle istituzioni, con qualche improbabile derivazione sentimentale, senza che tutto questo riesca a fondersi in qualcosa di omogeneo. Il regista Anton Corbijn, più noto per videoclip e cortometraggi musicali, non sembra avere la personalità necessaria per assemblare il materiale a disposizione.
Si potrebbe dire, pertanto, che l’andamento del film è prevedibile, che i colpi di scena non sono tali, che alcuni personaggi vivono come personaggi di un romanzo e non come persone vere, che ci troviamo di fronte più a materiale d’archivio che a un tentativo di andare oltre il già visto. Se non che bisogna anche fare i conti con il cast dei protagonisti. Niente di particolare sul versante femminile, dove Rachel McAdams (l’avvocato che aiuta Yssa) e Robin Wright (un capo della Cia) hanno poche possibilità di uscire dalla figurina di repertorio.