«LA SECONDA NOTTE DI NOZZE»

DI FRANCESCO MININNILo stile è anche questo: una storia che raccontata da un altro scivolerebbe verso la fiction o il retrò fine a se stesso, nelle mani (e nella testa, e nel cuore) di Pupi Avati diventa invece molto più che un quadretto d’epoca. Come «Il cuore altrove» era un reportage sull’ingenuità e sul cinismo (l’un contro l’altro armati), «La seconda notte di nozze» ripropone una struttura simile sostituendo all’ingenuità l’innocenza e al cinismo la cattiveria. Con una dedica finale, «a tutti i bambini che hanno fatto una gran luce», che la dice lunga su quale sia la parte dalla quale l’autore ha deciso di stare. Pur prendendo atto delle molte brutture del mondo in cui viviamo e nel dubbio su quale possa esserne la destinazione finale, ad Avati bastano un sogno o una mezza bugia per ridare voce alla speranza, senza la quale né lui né i suoi personaggi né il suo cinema esisterebbero.

Nell’immediato dopoguerra, a Bologna, Liliana e suo figlio Nino tirano avanti come possono. Lei concedendosi a chi le possa assicurare un piatto caldo (o tiepido: va bene anche se scotto), lui rubacchiando a destra e a manca e scendendo tutti i gradini di un’umana dignità che non conosce. Disperata, lei scrive a Giordano, il cognato che vive in Puglia, pregandolo per un aiuto. E Giordano, che era innamorato di lei, è stato in manicomio e vive tra le bomboniere delle zie e le mine da far brillare, prende la decisione (folle per le zie e per tutti) di riaccoglierla in casa.

Come il professorino de «Il cuore altrove», anche Giordano è uno che canta fuori del coro. La sua follia (come quella di certi personaggi di Pirandello) è soltanto una maschera per nascondere l’imbarazzo della verità. Chi pensa di approfittarsi di lui, tutt’al più potrà avere i suoi soldi. La sua anima, trasparente come quella di Forrest Gump, sa soltanto che c’è da fare «qualcosa di grande» e che niente glielo potrà impedire: né il cinismo né la cattiveria né la stupidità di un mondo che invece di pensare a ricostruire (case, cuori, anime ferite), preferisce riempirsi le tasche per poi poterle velocemente svuotare. Delicato, mai pesante anche nella rappresentazione di crudeltà e cinismo, Avati ribadisce di non avere dubbi sugli anni luce che separano avere ed essere, ed è persino disposto ad accettare una tenera follia pur di non lasciarsi travolgere dal meccanismo corrente. È qui che «La seconda notte di nozze» rivela la sua inequivocabile attualità: non al di fuori dei personaggi, ma dentro di essi, in coscienze buie, fiocamente illuminate o addirittura risplendenti.

I tre protagonisti ripagano Avati della fiducia concessa. Neri Marcorè ritrovandosi all’opposto del personaggio interpretato ne «Il cuore altrove» e riuscendo ad essere sgradevole quanto lì era dolce e disarmato; Katia Ricciarelli sorprendendo con misura e mezzitoni che corrispondono a una vita a metà; Antonio Albanese incantando con una tenerezza che, sotto certi aspetti, non è di questo mondo.

Averne di autori così, capaci di rinnovarsi con tale varietà di sfumature da sembrare, a chi non sia più abituato a pensare, sempre uguali a se stessi.

LA SECONDA NOTTE DI NOZZE di Pupi Avati. Con Antonio Albanese, Neri Marcorè, Katia Ricciarelli. ITALIA 2005; Drammatico; Colore