La ruota delle meraviglie
In presenza di un’opera tecnicamente straordinaria, che grazie ai miracoli della fotografia di Vittorio Storaro riesce a ricostruire con precisione il classico melodramma cinematografico (più Vincente Minnelli che Douglas Sirk, e specificamente Qualcuno verrà con cui divide l’ambientazione di una parte del film in un Luna Park) arricchendolo di componenti molto più dure e meno affascinanti come i continui riferimenti a Tennessee Williams e Eugene O’Neill, se proprio vogliamo spaccare il capello in quattro potremmo dire che si tratta di un film retrò, nel quale cioè Allen rielabora senza aggiungere o inventare inserendosi in un filone ben conosciuto e consolidato. D’altronde, il lavoro che fa sui personaggi e sulle scenografie è tale da permettergli questo ed altro. Ne La ruota delle meraviglie tutto è in piena decadenza: gli ambienti domestici, lo stesso Luna Park di Coney Island, persino la spiaggia con i bagnanti della domenica e soprattutto i personaggi che, uno dopo l’altro, presentano difetti (eufemismo) e patologie che inevitabilmente li destinano alla sconfitta.
Ginny, che ancora cova ambizioni d’attrice, ha sposato Humpty, gestore di una giostra a Coney Island. In famiglia c’è anche Richie, un decenne piromane, e, new entry, Carolina, figlia di primo letto di Humpty che fugge dal marito gangster che la cerca per ucciderla. In questo complesso intreccio familiare si inserisce il bagnino Mickey che, colto e aspirante scrittore, affascina Ginny e a tutti gli effetti la seduce. Proprio per questo motivo l’arrivo di Carolina è destabilizzante. Più vicino a lei per età, Mickey mostra interesse suscitando la furia di Ginny. Uno di quei casi in cui frustrazione e sconfitta si trasformano in cattiveria implacabile.
Dicevamo della discendenza de La ruota delle meraviglie da Qualcuno verrà. In realtà il Luna Park di Minnelli serviva da contrappunto, con i suoi suoni e colori, al consumarsi di una tragedia. Quello di Allen, invece, non serve da contrappunto: con la sua aria decadente e con l’idea di chiusura imminente è parte viva dell’azione drammatica nel senso che i personaggi che ci vivono e ci lavorano non possono certo servirsene come distrazione. Così tutto diventa fatiscente e contribuisce all’idea di crollo: prima ancora delle problematiche dei diversi personaggi, è l’ambiente stesso a favorire depressione e sconfitta.
Così subentra una delle caratteristiche più importanti del Woody Allen ispirato: il lavoro sui personaggi e sugli attori. Kate Winslet, più brava di sempre, compone un personaggio inquietante, freddo e capace di trasformare una delusione d’amore in una cattiveria calcolatrice e raggelante. Jim Belushi (Humpty) è un carattere popolare coinvolto nel crollo, incapace di gestire le emozioni, simile con la sua canottiera trucida a una degenerazione del Kowalski di Marlon Brando in Un tram che si chiama desiderio. Dato lo spessore della sua caratterizzazione, non possiamo che dirgli bentornato. Juno Temple (Carolina) è un residuo di innocenza in un mondo che non la prevede e non l’accetta: in un certo senso una vittima sacrificale (perché Woody Allen non manca neanche stavolta di dichiarare il proprio amore per la tragedia classica). E Justin Timberlake, che sulla carta non avremmo visto in un film di Woody Allen, ottiene l’importante ruolo del narratore: uno studente universitario cresciuto con la letteratura e il cinema degli anni Cinquanta che, narrando, non manca di specificare da dove vengano questo o quello snodo narrativo. Niente di cui rallegrarsi, perché Woody Allen non vedrà mai il lato positivo di niente. Ma una competenza assoluta in materia di tecnica cinematografica e di cultura a 360°.
LA RUOTA DELLE MERAVIGLIE (Wonder Wheel) di Woody Allen. Con Kate Winslet, Jim Belushi, Justin Timberlake, Juno Temple, Jack Gore. USA 2017; Drammatico; Colore.