«LA RICERCA DELLA FELICITÀ»

DI FRANCESCO MININNIIl talento è esportabile, la nazionalità no. Ecco perché «La ricerca della felicità», il primo film hollywoodiano di Gabriele Muccino, è a tutti gli effetti un film americano. Onore al merito al giovane autore romano per aver affrontato un’impresa sotto alcuni aspetti titanica, per aver saputo accettare il minor numero di compromessi possibile, per aver cercato di rifarsi ai modelli giusti, per aver creduto nella possibilità di trasformare il sogno americano nel sogno di tutti.

Ma l’America è l’America: diversamente da quanto alcuni pensano, non è tutto il mondo. E quel che emerge forte e chiaro da «La ricerca della felicità» non è né la volontà del singolo né l’idea della famiglia come nucleo irrinunciabile né la consapevolezza che c’è sempre un domani. La felicità, secondo gli attuali parametri della vita media americana, corrisponde a un’automobile di rappresentanza, a un buon posto possibilmente esclusivo negli stadi del football, a un posto di lavoro che consenta un guadagno superiore a una media che vorrebbe dire povertà. Dietro tutto questo vengono Dio, patria e famiglia in ordine sparso.

Fate caso all’evoluzione della storia (vera) di Christopher Gardner, che da virtuale senzatetto riesce con tenacia e applicazione a diventare broker di successo ritrovandosi presidente di una finanziaria e, in breve, miliardario. Nonostante tutti gli sforzi di Muccino per aggiungere verità a una storia che rischiava di diventare una favola buonista, un melodramma strappalacrime o più semplicemente un one-man-show condotto da Will Smith in qualità di asso pigliatutto, ci si accorge strada facendo che le cose hanno molta più importanza delle persone. La moglie di Chris, esasperata dai buchi nell’acqua del marito, lo lascia per trasferirsi a New York: da quel momento non ne sapremo più nulla (bastava anche una didascalia). Il figlio di Chris (che è Jaden Smith, figlio di Will nella vita) dovrebbe essere lo stimolo che tiene il padre a galla e gli dà la forza di continuare a lottare: invece non ha la rilevanza necessaria, almeno non quanta ne hanno gli scanner per le ossa che Chris si trascina per i saliscendi di San Francisco cercando di venderli ai medici locali.

Diciamo la verità: Muccino conferma le proprie doti di osservatore riuscendo soprattutto a trasmettere forti messaggi con l’uso intelligente delle location e dei loro contrasti, ma «La ricerca della felicità» è a tutti gli effetti un one-man-show il cui soggetto potrebbe essere Will Smith e diventa invece la perfetta corrispondenza di felicità e successo. In questo senso Gabriele Muccino, che pensava di ispirarsi a «Il monello», «Ladri di biciclette», «Umberto D» e «La vita è bella», è stato costretto a scendere dal piedistallo della sensibilità europea e a tenere conto di un’America che detiene il potere e non fa sconti agli idealisti. Sono finiti i tempi di Frank Capra, quando gli angeli scendevano sulla Terra e gli uomini si battevano per cause giuste. Oggi non si combatte più per la vita, ma soltanto per la sopravvivenza.

LA RICERCA DELLA FELICITÀ (The Pursuit of Happyness) di Gabriele Muccino. Con Will Smith, Thandie Newton, Jaden Smith. USA 2006; Drammatico; Colore