La regola del silenzio
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Affrontando il tema del terrorismo (il gruppo conosciuto come Weather Underground, che all’epoca del Vietnam preferì la lotta armata alle manifestazioni di piazza), Redford ha avuto un’ottima idea: liberarsi quasi subito del fardello del terrorismo per dirigere le proprie attenzioni su due argomenti primari, ovvero lo scorrere del tempo e il confronto generazionale. Si è, cioè, occupato di quei personaggi non nel momento della lotta armata, ma trent’anni dopo, suddividendoli in integrati e fuori schema, separando nettamente gli idealisti dagli ideologi, evidenziando attentamente il loro rapporto con il domani, quindi con i figli. Ne consegue un ragionamento sensato sui cambiamenti che possono verificarsi nell’animo umano e su quanto sia importante guardarsi dentro per scoprire cosa ci sia veramente.
Il meccanismo è innescato dall’arresto di Sharon, che partecipò trent’anni prima a una rapina culminata nell’omicidio di una guardia. Un giovane cronista di Albany si interessa al caso e, indagando, scopre che l’avvocato Jim Grant in realtà è Nick Sloan, un altro del gruppo. A questo punto le carte si confondono, perché Grant, invece di dileguarsi insieme alla figlia Isabel, la affida al fratello e si muove in lungo e in largo attraverso l’America alla ricerca di qualcosa (o di qualcuno). Il giornalista intuisce che Grant non ha un comportamento da colpevole e che probabilmente sta cercando qualcuno che possa scagionarlo. Il problema è che l’unica persona in grado di certificare la sua innocenza è Mimi Lurie che, degli affiliati al gruppo, è quella che ha sempre rifiutato di integrarsi e continua ancora la sua protesta in forme diverse. Molte persone dovranno prendere decisioni importanti per la propria vita e per quella altrui.
Ispirandosi a un romanzo di Neil Gordon, Redford ha corso ogni rischio possibile in nome del proprio impeto democratico e di una interiore necessità di affrontare l’argomento con tutte le sue implicazioni. Se analizziamo attentamente la vicenda, ad esempio, noteremo come il personaggio del giornalista sia più strumentale che approfondito e come alcune svolte narrative (la figlia di Nick e Mimi) invochino più il colpo di scena che l’approfondimento tematico. È indiscutibile, però, che ciò sia dovuto interamente alle buone intenzioni dell’autore, capace di passare sopra a qualche connessione logica pur di non perdere l’obiettivo prefisso. Che è, sensatamente, la necessità di dirigere la propria esistenza in una direzione sulla quale potranno poi incamminarsi i figli senza doversi confrontare con un passato «ignobile».